dairago.com

Memorie: Vincenzo Ballario

Vincenzo Ballario

Nato ad Asti il 20 gennaio 1913 da Giovanni e Lucia Pavese, militare col grado di sergente maggiore. Viene richiamato alle armi nel maggio 1935 in Africa Orientale Italiana nel corpo automobilisti, 2° Autocentro di stanza ad Alessandria. Combatte in Africa Orientale dal 1935 al 1936 nella 1° Divisione Motorizzata "Trento", autocentro AOI.
L'8 giugno 1940 viene richiamato per addestramento e inviato sul fronte occidentale francese.
Il 27 giugno dello stesso anno è inviato a Napoli da dove parte per la Libia, a bordo della nave "Atalanta" con il 142° Reparto del Super Comando. Con la disfatta italiana, nel 1942 rientra in Italia ancora a Napoli, sulla nave ospedaliera "Amo", ferito ed in preda ad un attacco di ameba. Sbandato, dopo il 25 luglio 1944 aderisce alla brigata partigiana "Garibaldi".

Ricordi da EI Alamein.

"Ricordo che durante la campagna d'Africa, cioè in Libia, nella zona di El Alamein facevo la spola tra la retrovia e la prima linea, portando vettovaglie e benzina "Avian" per gli aerei dei tedeschi comandati dal generale Rommel.
Ebbi l'ordine di portare i 12 autocarri della mia compagnia nel deserto, di caricare sulle cabine un palo del telefono e di coprirlo con un telone. Cominciammo a girare sulla sabbia sollevando un gran polverone come se fossimo tanti carri armati, infatti gli aerei inglesi furono tratti in inganno.
Così Rommel attaccò su un altro fronte ed entrò a Tobruk.
[...] Noi avevamo continuato a fare la guerra di Libia e Dio solo sa quanto caldo, quanta fame e quanta sete abbiamo sofferto. Rubavamo arance a camionate dagli aranceti accessibili e una volta ci siamo intossicati per avene mangiata una quantità smisurata, tant' era la fame e la sete.
Un giorno, durante una ritirata, gli inglesi ci avevano avvistato presso una radura: sono passati ben 17 volte sopra di noi a bombardarci, non sapevamo più dove nasconderci; alla fine ci siamo messi a terra con una pietra sopra l'elmetto, sperando che i proiettili colpissero il sasso, oppure con la testa a terra cercavamo semplicemente di farci un buco con l'elmetto.
[...] Ho visto gente disperata, i coloni italiani che erano venuti in Libia con la valigia di cartone, adesso se ne tornavano con la valigia di cartone e il laccio per tenerla insieme, da quanto era consunta; poi la fame: portavamo loro da mangiare e loro mangiavano con noi. [...]
Poi ho visto tutto il bottino di guerra nelle casse degli inglesi: stanze enormi, piene di lingotti d'oro da cinque e più chilogrammi l'uno. L'accesso mi fu permesso da mio zio, che lavorava a stretto contatto con Churchill".

Il Mostro: storia di un eroe di guerra.
"Ero il comandante di un piccolo contingente di soldati in Libia quell'anno 1941. Era mio sottoposto un giovane soldato, che aveva nascosto tremila lire sotto la parabola di un faro della camionetta: si chiamava Calligaris Primo.
Stavamo ripiegando verso Tobruk e trasportavamo sulle camionette carburante P4, per i mezzi tedeschi. Ad un tratto sono arrivati gli inglesi, probabilmente attirati dalle segnalazioni degli arabi (quegli spietati degli arabi, prima ci cercavano il cibo e le sigarette, poi ci segnalavano agli inglesi, ottenendo in cambio di questo servizio certamente qualcosa).
Gli inglesi sparavano tre tipi di proiettili: esplosivi, incendiari e perforanti. Spararono contro quella camionetta e la incendiarono, il ragazzo corse allora verso il mezzo in fiamme, forse per salvare il suo denaro, restando gravemente ustionato. Era una torcia umana, lo portammo avvolto nelle coperte al primo campo ospedaliero che trovammo. Da quel momento non abbiamo saputo più nulla di lui.
Otto mesi dopo a Napoli, al mio rientro per ameba con la nave ospedale Amo, che subito dopo venne affondata dagli inglesi, la principessa Maria José fece visita nell'ospedale in cui mi trovavo. Quando scendemmo in cappella per recitare il rosario, sentii una voce che diceva: «Ma lei è il mio comandante!», mi voltai e vidi un uomo che aveva la testa fasciata, non aveva più le orecchie, né gli zigomi né le sopracciglia. «Ma... lei chi è?» chiesi sbalordito, la risposta fu: «Calligaris Primo».
Da allora non ne seppi più nulla, ma siccome era un giovane di Asti, vent'anni dopo, passando per quella città con mia moglie, decisi di andarlo a trovare. Chiesi ad un gruppo di ragazze se sapevano dove potevo trovare Calligaris Primo, le ragazze si guardarono tra loro e risposero: «Chi? Il Mostro?». Solo quando lo vidi potei comprendere. Viveva sulla collina in cui i suoi genitori avevano un vigneto, del tutto isolato dal villaggio vicino; era il peggiore infortunato di guerra, per questo la principessa Maria José era andata a visitarlo".