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Memorie: Giovanni Cervi

Giovanni Cervi

Giovanni, ultimo di undici figli, due dei quali morti in tenerissima età, nacque il 13 gennaio 1924 e crebbe a Montebelluna, esattamente nella frazione di Biadene, in un cortile di due famiglie in via Feltrina, alle pendici del Montello e non distante dal Piave.
Durante la Grande Guerra, il cortile e qualche locale vennero occupati dalle truppe prossime alla prima linea del fronte. Uno dei fratelli, Giuseppe, che negli anni Cinquanta sarebbe emigrato in Australia, fu partorito nella stanza al piano superiore mentre nel locale sottostante, da cui era separato da un pavimento di assi (alquanto modesto e poco discreto), alloggiavano i soldati.
Riposavano sulla paglia. All'udire i vagiti, alcuni di loro salirono, ottenendo dalla madre di portare giù in mostra agli altri commilitoni il neonato.
Era, quella di Giovanni, una famiglia di chiesa. Il ramo materno ha dato alla Chiesa un monsignore. Quello paterno, un altro sacerdote. Ancora: un altro nipote vivente, Silvano Cervi, è padre tra i francescani minori nella regione veneta.
Emma Rossi, la madre di Giovanni, era donna semplice e arguta, pia e amante della lettura. Me la ricordo vestita di nero e col capo coperto, quando, negli ultimi anni della sua vita, leggeva (o rileggeva) i Promessi sposi. Con il marito Luigi, crebbe una famiglia numerosa: cinque maschi e quattro femmine.
Da bambino, Giovanni il beniamino faceva il chierichetto in parrocchia, brillando nei vari concorsi catechistici. Nella primavera del 1938, la sua famiglia seguì l'esempio di tante altre e, fatti i pochi bagagli, si trasferì a Dairago (per la precisione, tre dei figli giunsero qui nell'autunno del'37 per predisporre tutto, per arare e seminare i campi). Così, adolescente, Giovanni abitò in cascina Maria, in fondo all'allora via Zara. Era del tutto isolata, lontana. I boschi, le brume; la cascina era raggiungibile a fatica in inverno, quando il fango si stipava tra il parafango e la ruota della bicicletta. Ma si trasformava in un paradiso, quel luogo, nella bella stagione.
Una volta in Lombardia, Giovanni trovò lavoro come meccanico a Milano, all'Alfa Romeo dove, più che qui da noi, attecchiva la propaganda e si affinavano le strategie di opposizione al regime.
Si ricorda che il 5 marzo 1943 iniziò in Italia settentrionale un'ondata di scioperi che sarebbe durata tutto il mese, costringendo il governo fascista a concessioni salariali. Nel novembre 1942 passò la visita militare. Avendo già due fratelli alle armi, i genitori di Giovanni si appellarono al diritto di tenerselo a casa. Inutilmente. C'era la guerra, la regola non valse.
Dato che era nato in gennaio, sarebbe stato tra i primi, il Nostro, a essere chiamato alle armi. E così avvenne nei primi mesi del 1943. Se proprio doveva servire il fascismo, avrebbe desiderato farlo tra gli alpini. Niente: finì in fanteria. Indossando la divisa di quel corpo, si riteneva ancor più ridicolo: "Un fantoccio" diceva di sé con ironia.
Per lui, il servizio militare non durò molto: soltanto alcuni mesi. A Dairago, in quei tempi, la locale sede del "Fascio di combattimento" pubblicava il bollettino Dairago in Grigioverde.
Il lettore - ora, ma forse anche allora - ne resta investito da una valanga di notizie ampollose, celebrative, retoriche e squillanti. Ovunque nel mondo, laddove c'era un soldato dairaghese, tutto procedeva nel giusto senso. Tutto era sotto controllo. Vi si leggono, sì, talvolta, alcune luttuose notizie di valorosi giovani soldati (o sfortunati richiamati alle armi) qua e là sfortunatamente morti per la patria. Ma si rimane, soprattutto, storditi dalle corrispondenze. Ci si imbatte, infatti, in improponibili lettere di chi, da lontani lidi, scriveva qualcosa del tipo: "Ringrazio del bel pacco natalizio e saluto Fascisti, Dopolavoristi e Popolazione tutta". Ed è un treno di saluti riportati, uno per uno, tutti nello stesso stile. Nel bollettino si legge, inoltre, di indomiti soldati che accerchiati dal mondo intero inneggiavano a universali vendette e al desidero irrefrenabile di lotte all'ultimo sangue. Tra la tipica manipolazione comica delle informazioni e il condimento patetico dell'autocelebrazione, il numero di aprile-maggio 1943 riportava una breve notizia che appare molto strana, un uovo fuori del cesto, qualcosa di inconsueto, ovvero di negativo: "Gioventù italiana del Littorio - Il Comandante generale della GIL, su proposta del Comandante Federale Antonio del Grosso, con foglio n. 140213-8/6 dell'8 aprile ultimo scorso ha inflitta a CERVI Giovanni di Luigi classe 1924 la RADIAZIONE per aver commesso azioni che ledono la sua figura morale".
Un "ribelle". Giovanni entrò nel Corpo Volontari della Libertà il 25 luglio del 1943. Nel "settore Valle Olona", coprì l'incarico di vice comandante di brigata, nella 101ma brigata Garibaldina-l distaccamento.
Ciò lo si desume dalla Tessera di riconoscimento n.14325 rilasciata a Giovanni da parte del CLN-CVL/Comando Piazza di Milano, in data 22 maggio del1945. In altra tessera di riconoscimento del 12 maggio 1945, è precisata l'appartenenza: "101ma Brigata Garibaldi SAP-Giovanni Novara".
Fu arrestato due volte. La prima volta, qui vicino. Imprigionato, riuscì ad evadere. La seconda volta, finì a Milano, carceri di San Vittore; il suo destino sembrava segnato. Tra i fratelli, con misura, si raccontava della destinazione di Giovanni, ovvero la Germania; si raccontava di quando uscì da San Vittore giusto per essere accompagnato alla stazione ferroviaria ed essere spedito oltre il Brennero. E così si continuava nel racconto. Prima di Bergamo, a Treviglio, approfittando della velocità ridotta del mezzo (o forse anche della breve sosta), nonché del pendio non proibitivo e non ripido della massicciata della ferrovia, Giovanni eluse la sorveglianza della guardia e si gettò dal finestrino. Sano e salvo, si rifocillò e si tenne nascosto per alcuni giorni presso amici che non abitavano distanti da quel luogo benedetto. Aggiungevano che, dopo la fuga dal treno, Giovanni si eclissò del tutto. Si diede, insomma, alla macchia più fitta.
A proposito di quel periodo, non è facile rintracciare le località dove operò. In Val Sesia? Non ho avuto neanche modo di reperire informazioni su come si mosse nelle lotte insieme ad altri compagni.
Si dice che a Dairago nessuno più lo vide. Nella tessera 318 rilasciata in data 6 aprile 1947 dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia-sezione mandamentale di Legnano è ricordata, alla voce "formazione", la sua provenienza: "182ma brigata".
Giovanni ha militato nella 182ma Garibaldi dall'1 febbraio 1944 al 25 aprile 1945, per un periodo di servizio di 14 mesi e 25 giorni.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri-Commissione Riconoscimento delle qualifiche dei partigiani per la Lombardia, in data 25 febbraio 1948, con delibera 39754 riteneva che il volontario Giovanni Cervi avesse "diritto alla qualifica di partigiano combattente". La stessa Commissione, in data 5 aprile 1950 con altra delibera, la 39754, riconosceva la qualifica gerarchica partigiana di "Comandante di distaccamento dal 1.4.1944 al 31.11.1944 e Comandante di brigata dal 11.12.1944 al 25.4.1945".
Erano qualifiche equiparate rispettivamente "al grado militare dell'Esercito di Sottotenente (...) e tenente per aver avuto alle proprie dipendenze, rispettivamente n.35 e n.100 fra partigiani e patrioti riconosciuti". Inoltre è riportato che "non ha svolto attività professionale durante l'occupazione nazi-fascista".
Anche a lui, con firma del maresciallo H.R.Alexander, comandante supremo alleato delle forze nel Mediterraneo centrale, fu consegnato il Certificato al patriota (n.222987), che così recita in chiusura: "Nell'Italia rinata, i possessori di questo attestato saranno acclamati come patrioti che hanno combattuto per l'onore e la libertà".
Poco voglioso di raccontarsi (essere schivi e riservati era forse una caratteristica della sua famiglia), neanche a guerra finita da lui si seppe della vita fatta da partigiano lontano da casa. Sapere qualcosa, ma proprio qualcosa di Giovanni - ad eccezione di qualche stringato documento ufficiale - fu possibile solo tramite i fratelli, gli amici e i compagni. Si sposò nel 1949, al suono di campane, con Angelina.
L'anno seguente ebbe un figlio - chi scrive questa breve biografia.
Qualche anno dopo, un incidente stradale lo segnò per sempre. Ospedali, operazioni e cure non gli giovarono. Qualche anno ancora e a trentatré anni, il 30 settembre 1958, Giovanni muore a Dairago, con il conforto dei sacramenti che chiese al prevosto don Carlo Lotti. (w.ce.)