Dell’antico nucleo abitativo del paese restano diverse “corti”,
strutturate con stanze e rustici dislocati lungo il perimetro di uno
spazio centrale aperto.
Tra gli edifici che mostrano nella loro tipologia un’origine gentilizia,
il più insigne é il cosiddetto Camaóón, costruito nel 1550 dal nobile
Giovanni Francesco Casati sul luogo dell’antica domus magna dei Della
Croce, di cui conserva l’ampia cantina. Questo palazzo è stato per
secoli al centro di una sorta di terrore popolare di cui rimangono echi
nella tradizione orale, provocato da scelleratezze e prepotenze compiuti
dai proprietari. Dopo i recenti lavori di ristrutturazione, sulle pareti
esterne restano parte degli affreschi datati 1566, nei quali si legge il
motto “forse che sì, forse che no” adottato da Vincenzo Gonzaga duca di
Mantova.
Un’altra costruzione di notevole interesse è la torre belvedere
edificata nel 1812 dal patrizio milanese Luigi Lampugnani, dominante le
proprietà ereditate dai
marchesi di Felino e conti di Tiorio nel
parmense. Un ampio portale, di gusto rinascimentale, si apre nel più
antico dei due cortili appartenuti alla nobile casata Lampugnani; sulla
vera ottagonale del pozzo, nel cortile più moderno, è incisa la
data
1898, ai fianchi si aprivano in origine due portichetti, ornati da
rilievi e sostenuti da colonne granitiche.
Lungo un fianco della Via Fiume si snoda un cortile munito di porticati
a colonne, appartenuto alla famiglia Corti, che conserva un’ampia
cantina “da vino”, come precisano le scritte poste al suo ingresso nel
1763: “Il bere nell’entrar ti si concede, ma nell’uscir non ti vacilli
il piede”. Sull’altro fianco della stessa via si trova il giardino in
cui sorgeva la villa dei baroni Castelli, poi passata ai Tosi-Besana e
infine demolita.
Ancora in Via Fiume, sopra un muro sgretolato, sono stati scoperti i
frammenti di pregevoli pitture risalenti alla metà del ‘300, che
costituiscono l’ultima traccia della residenza affrescata appartenuta
alla nobile famiglia Vismara, ricordata solo da un brandello del suo
stemma.