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Il dialetto: Una zεmpia. La gamba rossa

Sü sü a stråå pa[r] [vi]gnì da Bispíkual,
propi takåå a faramεnta dul Ghüson,
våltsa sü ’l ko e te (v)edi, pitüåå sül müu,
in fåca a ti, a mantsina, ’na bala fighüa:
kela daa Gamba rusa.
Da kanton gh’e skriüü go propi inšì:

“Don don‚ nde durmì
gh’ii giòldi
iögi da muì.
Sa uii menga a credi
ke Diu la manda
guarde inlàia,
ka ga ejn giò a gamba”
Sulla strada proveniente da Busto Garolfo, in prossimità della ferramenta Gussoni, alza la testa e, di fronte a te, a sinistra, vedi dipinto un murale, quello della Gamba rossa. Di lato è riportata, a mo’ di didascalia, la nota zεmpia:


“Don don, ’nde durmí [...]".
Come si nota, la grafia della zεmpia ricopiata così come è scritta nel murale si discosta qua e là da quella proposta in questa Presentazione. Per la traduzione, dare un’occhiata alla sottostante versione di Borsano.

 

 

La zεmpia, illustrata nel murale fatto in occasione del Palio 1995, risulta ambientata nel locale soggiorno (cucina a piano terra), con tanto di camino. Come è anche nella versione di Borsano, sotto riportata.

La stalla racconta
La storia della Gamba rossa
(raccolta e pubblicata a Borsano in G.Rimoldi e G.R.S.B., Borsano: il millennio di una comunità, 1993, p.120)

“È nell’alveo della tradizione contadina, soprattutto nelle lunghe sere invernali, quando le famiglie si riunivano nella stalla, al tepore degli animali, che sorsero dei racconti più o meno fantastici, come la storia della Gamba rossa. Ancora oggi le persone anziane la ricordano, rivedendosi bambini aggrappati ai grembiuli delle loro madri, che la narravano per intimidirli e mandarli a letto presto.
I particolari del racconto variano a seconda di chi li narra, ma tendono a collimare nella sostanza.
I don d’una curti ch’éan stüfi... Le donne di un cortile che erano stanche di essere lasciate sole dai loro mariti, perché questi andavano al circolo e loro non avevano alcuna possibilità di divertirsi, un giorno si erano messe d’accordo di ritrovarsi in casa di una di loro, dopo che i loro mariti si fossero addormentati, per preparare e gustare un succulento risotto con le salsicce.
I mariti a loro volta, scoperta la trama, decisero di non dare nell’occhio e colpire di sorpresa, intervenendo al momento opportuno. Quando tutto fu pronto, uno di loro salì sul tetto e, affacciatosi al camino, con voce cavernosa intimò [e qui modifico un po’ la grafia per omogeneizzarla con quella proposta in questa Presentazione]:

Don don andé a durmí
k’a ghi i ögi gåldi da muí
e s’a vuí mengha kredi
ke Diu ve la manda
ghuardé in l’åia
k’a gha egn go ‘na ghamba
Donne donne, andate a dormire
che avete gli occhi gialli da morire
e se non volete credere
che è Dio a mandarvela
guardate per aria
che viene giù una gamba

 

 Nel frattempo un altro uomo sollevò la botola che si apriva nel soffitto della cucina in cui erano raccolte le donne; s’infilò sulla gamba una lunga calza rossa e la lasciò penzolare dall’alto. Le donne impaurite fuggirono nelle loro case, abbandonando la tavola, il risotto e le salsicce ai loro burloni mariti”.

La versione che ho invece raccolto a Dairago cambia di poco. La differenza sta nell’ambientazione: il luogo del fatto era la stalla, anziché la cucina. La gamba rossa di Dairago scendeva giù dalla botola (detta ul rabüzell), poco oltre l’ingresso in stalla. Attraverso la botola, ul paizan (cioè il contadino allevatore) faceva scendere il fieno direttamente dalla cascina sovrastante.
La data della cenetta dairaghese era verisimilmente ancorata all’ultimo giovedì di gennaio, che coincide con il giorno della Göbia, la vecchia che, nelle limitrofi lande del nord (Busto Arsizio, p.es.) viene bruciata sulle pubbliche piazze. Del resto, è quello il periodo dei fuochi purificatori e propiziatori (si pensi al nostro falò di Sant’Antonio, 17 gennaio).
Nella serata di quel giovedì, era tradizione cucinare ul šanen, ‘cenetta’ (quand’ero bambino la si faceva ancora). L’evento era percepito come qualcosa fuori dell’ordinario. Con gli occhi di oggi, invece, appare come una cosetta semplice.
Il menu prevedeva: salsiccia (ul salamen) con lenticchie o qualcosa del genere (pulεnta e brüšiti, ‘polenta e carne trita’).
Con qualche variante, la stessa zεmpia vicino a noi è registrata tanto a Buscate quanto a Gorla Maggiore.