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Il dialetto: Caratteristiche del dialetto

La grafia del Alcune caratteristiche del dialetto locale colpiscono il foresto.
Quali sono?
a) Intanto, la presenza delle due vocali ü e ö come, da noi, a ültima ölta ‘l’ultima volta’. È bene, qui, ricordare l’intero triangolo vocalico dairaghese e la sua equivalenza nell’alfabeto fonetico internazionale:

Tabella simboli dialetto

b) La duplicazione del pronome soggetto a proposito della prima persona.
Qualcuno parla di “pronome obliquo come soggetto aggregato” (vedi in www.melegnano.net/spie0006p.htm):
- mi a dizu ‘io dico’
- ti te dizi ‘tu dici’
- nön a dizam ‘noi diciamo’
- violl a dizii ‘voi dite’.
 N.B.: Qualche riscontro nel francese.
A riguardo, lì si parla di pronoms deuxième forme.
Pertanto: Moi, je dis la verité (piuttosto nel senso di ‘la dico io la verità’);
toi, tu dis; lui, il dit eccetera.
Altro che duplicazione del soggetto. A Dairago – tracce sono rimaste in altre parlate limitrofi (si pensi a Marnate) – si incontra la triplicazione del soggetto.
Lü a l dizi a veitå ‘lui dice la verità’. Dunque tre soggetti: lü, a e l!
La cosa vale anche per la seconda persona: A te e ti a sköa? ‘tu vai a scuola?’

c) Si tenga ben presente la figura del pronome a, di cui sopra.
Qualcuno lo definisce pronome personale polivalente, una sorta di pronome universale.

d) “Indebolimento e dileguo della r tra vocali”.
Nella gran parte dei casi, la r intervocalica cade: puaétu ‘poveretto’ anziché puaretu. Lavorare, che a Milano fa laurà, qui fa lauå. Nei paesi attorno sento sura, avverbio ‘sopra’, quando qui si dice sua. Ancora: pa’ndå föa, in luogo di par andå föa ‘per andare in campagna’. Oppure a Maìa per a Maria. Oppure maåå ‘malato’, quando non distante si sente maråå. Oppure Uona per Urona (o anche Ulona) ‘fiume Olona’.
La r non si defila solamente quando è stretta tra due vocali. Tante volte tenta il colpo anche se accompagnata diversamente. Si pensi a pa’fotsa (con la o tirata) che sta in luogo di par fortsa. Tuttavia, la r si sente bene in parole come kareša ‘solco scavato dalla ruota del carro, carrereccia’.

e) Ma anche la v intervocalica ha vita grama a Dairago.
Si pensi a kåabüšon per kåvabüšon ‘cavatappi’ o ‘cavaturaccioli’. Altri esempi sono costituiti da kaadågna ‘testata di un campo arato’ invece di kavadågna; così come da kaétsu ‘persona ordinata, ammodo’ invece di kavetsu; oppure da kiégn ‘prossimo’ (lett.: che viene) invece di ke a l vegn; o ancora da pien da εrtsi ‘giocherellone, mai serio’ invece di pien da vεrtsi.

f) Mitigazione della t in d.
Il latino parlato cŭtica ‘cotica’ anche da noi diventa kudigha.
Curiosità: il latino rŏta, in italiano ’ruota’, fa nel nostro dialetto röa e non come altrove (Milano, Melegnano…) röda. Così, da noi, non solo la t non viene mitigata in d, ma addirittura decade.

g) Da p a v. Il latino sāpo ‘sapone’, p. es., diventa savon a Milano e non solo (Melegnano, p. es.). Da noi? La p, in tal caso, non è mitigata dalla v semplicemente perché è sparita. L’infinito sapere che in varie parlate locali diventa savè, a Dairago è saé. E parere, qui è paé.

h) Mitigazione della k in gh.
Il latino brācae ‘brache, pantaloni lunghi usati dai medi, poi importati presso i galli e i romani’ diventa braghuni (del nome avverto solo tale forma alterata).

i) Presenza di vocali atone finali: ögu, nåzu, Daiåghu (notare, qui, la caduta della r tra le vocali), quando presso Milano, p.es., si direbbe rispettivamente œc, naz e Dairàgh.

l) Si trova (anche a Dairago) questa espressione: Vå a fåsi benedì (lett.: vai a farti benedire ‘ma vai a quel paese!’) o l’equivalente Vå a fåsi dì in geza (lett.: vai a farti dire in chiesa).
Con la seconda persona singolare, appare curioso l’impiego (ieri più di oggi) di –si e non di –ti.
A Dairago, la domanda Come ti chiami? suona Ti ’sa ta dizan? lett. Tu cosa ti dicono? Tuttavia sento anche: ’M’a te se dumandi? (dove ’M’a sta per Kume a).
Per completezza, Mi ’sa ma dizan lett.: io cosa mi dicono? (ma anche ’Sa ma dizan a mi?); Lü ’s’a gha dizan? lett.: lui cosa ci dicono? (ma anche ’S’a gha dizan kel lå).
Tuttavia sento rispettivamente ’M’a sa dumandu mi? (anche Mi ’m’a sa dumandu?) e ’M’a sa dumanda kel lå) (anche Lü ’m’a l sa dumanda?).
A parte il resto, è interessante il ricorso a sa (con la prima persona) e a se (con la II persona).
Un canto laghé (comasco) di Davide Van de Sfroos esordisce con Se ciami Genezio, ho fa un po’ de tüt, / poeta e spatsen, astronauta e maghütt...
Curioso il nome di Genesio, personaggio nella canzone che ha conosciuto molte donne e di ciascuna di loro si ricorda una cosa, il sorriso.
Genesio, come il nostro santo patrono.
Ma interessante è quel se ciami anziché me ciami (come ci aspetteremmo avendo in testa l’italiano).
Nell’endecasillabo di un’altra canzone dello stesso cantautore, Bréva e Tivàn, si ripresenta la struttura in questione: Sulti sü l’unda o pœ se lasi inà, cioè ‘salto sull’onda e poi mi lascio andare’. Ancora, con la prima persona, sentiamo se quando ci attenderemmo me.
Il terzo caso offerto da Van de Sfroos si trova nella canzone Il duello dove si sente: [...] L e ’l kumpleàn de kuεl penen, se sun dezmenteghaa ‘è il compleanno di quel penen, mi sono scordato’.
Anche in tale situazione, se sun, al posto di me sun.
Postilla. Penen: è quello il termine o, non piuttosto, belen? Nel secondo caso, esso troverebbe eco a Dairago dove balen, plurale baliti, è sinonimo di piccolino e di ragazzino.

E, per i suoni (specie vocali) non contemplati nell’italiano, spesso negli anni addietro si ricorreva a quello francese. Ultimamente pare si ricorra piuttosto al tedesco.