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I diari: Carlo Colombo

Prigioniero 69677, campo 1420, reparto 120

Carlo Colombo: Memorie di un deportato in Germania (1943-1945)

premessa, trascrizione ed appendici a cura di Walter Cervi

Premessa "Quasi tutti i reduci, a voce o nelle loro memorie scritte, ricordano un sogno che ricorreva spesso nelle notti di prigionia, vario nei particolari ma unico nella sostanza: di essere tornati a casa, di raccontare con passione e sollievo le loro sofferenze passate rivolgendosi a una persona cara, e di non essere creduti, anzi, neppure ascoltati ". (Primo Levi, nella prefazione a I sommersi e i salvati, in Opere, I. - Torino: Einaudi 1987).
Il Carletto - nato a Dairago, allora Comune di Arconate il l0 gennaio 1920 - più volte mi ha espresso il desiderio di vedere il suo diario di prigionia in Germania trascritto in bella copia o, ancora meglio, pubblicato. "Comincia a darmi le copie del tuo originale e io mi metto all'opera" gli rispondevo ogni volta. Quando lentamente ho iniziato il mio lavoro, Carletto al vedermi mi chiedeva puntualmente: "Cosa ne dici del mio scritto?" E, come scusandosi, continuava così: "Sai io non sono un campione a scrivere giù bene in italiano". Per poi subito riprendere i suoi vivi ricordi e riesporli con vigore e passione. "Anche di notte mi ritornano i momenti della prigionia", suole ancora dire. A rigore, il suo, più che un diario, è un quaderno di memorie. Fu verso il 1993 che Carletto maturò la voglia di mettere per iscritto quanto amava raccontare a quanti gli prestavano orecchio. E c'ero anch'io tra quelli che lo pungolavano a intraprendere lo sforzo. Servendosi di un lapis (ripassato poi a penna), piano piano i suoi ricordi si traducevano in parole che correvano su fogli grandi a righe (formato A4 di quelli che usano i ragazzi nel quadernone ad anelli). Quanto tempo impiegò a tirar fuori tutto quanto gli premeva dire? Nella nostra Appendice numero 4, Carletto dice che dalla fine della guerra "son passati cinquantacinque anni". Dunque si era già nell'anno 2000. Alcuni parenti e amici seppero del suo manoscritto e lo vollero leggere. Ritengo che almeno una ventina di loro lo abbiano ricevuto e letto in fotocopia. Ho finito il mio lavoro. Spero, ora, di aver prestato la penna nel modo in cui Carletto desidera.
La fortuna e il Cielo hanno voluto, infine, allontanare il timore di Carlo, il deportato, il timore cioè di non vedere pubblicata la sua storia di prigionia. Due anni di storia, i suoi, impossibili da raspare via. Nonostante sia trascorso più di mezzo secolo... Tanti decenni che non si stingono neanche agli occhi di altri suoi coetanei che conobbero analoga sorte. E poiché non è facile trovare il fondo della tragedia e della bestialità, a molti di loro andò persino peggio. A noi lettori, le parole di Carletto e di altri che hanno penato come lui siano come dei paletti visibili e orientatori nelle nostre numerose e difficili serpentine della vita.
Nota sulla trascrizione
Sui contenuti, sui dati e sulle informazioni fornite da Carlo Colombo, il mio intervento è quasi a zero. Ci mancherebbe. Ritengo che il testo di Carletto sia rimasto quello che è, con il suo stile e i suoi stilemi.
Ho rispettato l'idioletto dell'autore. Ho lasciato i solecismi incontrati. Non ho ritoccato ridondanze, pleonasmi costrutti che calcano il dialetto. Per esempio, ho mantenuto: "Andando in battaglia, colpivano molte navi che le mandavano a fondo". Sul testo dell'autore ho operato il minimo indispensabile. L'intervento - quando c'è '- è stato fatto per esclusive esigenze di comprensibilità immediata. Una libertà che mi sono concessa è quella della punteggiatura, del resto poco impiegata dall'autore. Laddove, qua e là, l'originale risulta toccato da me (si pensi anche ai connettivi e ai raccordi), l'operazione è evidente da parte del lettore, per via dell'uso delle parentesi quadre. Il mio intervento, così penso, è stato minimo e nel segno della speditezza della comunicazione con il lettore. Inoltre, i tre punti di sospensione in parentesi quadra rappresentano un taglio al testo. Un taglio minuto, giusto per evitare il disagio del lettore o il suo fraintendimento nella lettura. Per esempio, ho trascritto: "Noi eravamo da tanti giorni che [...] digiunavamo". E, ciò, al posto dell'originale: "Noi eravamo da tanti giorni che si digiunavamo". Tra parentesi quadre, si è indicata pure la numerazione ordinale delle pagine (dal Carletto contraddistinte dal cardinale).
Quadro storico
Il 27 settembre 1940 l'Italia sottoscrisse il Patto tripartito con la Germania e con il Giappone per la spartizione del pianeta. L'avventura militare era iniziata. E subito arrivarono le batoste in Africa.
Gli insuccessi italiani furono provocati dalla superiorità aeronavale della Gran Bretagna. La marina, su cui il regime aveva fatto molto affidamento, non disponeva né di portaerei, né di radar. E, per di più, aveva una limitata autonomia di movimenti dovuti alla scarsità di carburante. Duramente colpita da un improvviso attacco di aerosiluranti inglesi nella rada di Taranto l'11 novembre 1940, sconfitta presso Capo Teulada il 27 novembre e nuovamente battuta presso Capo Matapan, nelle vicinanze di Creta, il 28-29 marzo del 1941, la flotta italiana non fu più in grado di contrastare l' egemonia inglese sul Mediterraneo, né di realizzare il progetto di occupare la base inglese di Malta.
Sorvolando su altri episodi, come quello disastroso della campagna di Grecia (iniziata il 28 ottobre 1940) o l'infelice partecipazione italiana (decisa nel luglio '41) di 53.000 uomini a fianco della Wehrmacht nell'attacco all'URSS, merita ricordare le novità dell'anno 1943. Lo sbarco degli Alleati in Sicilia, nella notte tra il 9 e 10 luglio del 1943 sanzionò la sconfitta militare dell'Italia e accelerò la disgregazione del regime fascista alleato alla Germania. L'idea di sganciare l'Italia dalla guerra prendeva forza negli ambienti che più contavano. Tutto, ora, dipendeva dal cambio nella guida politica del Paese. Il 19 luglio, Roma fu bombardata. Il numero dei morti fu altissimo. Per contro, l'alleanza tra Mussolini e Hitler veniva riconfermata a Feltre. E il re, Vittorio Emanuele III, si lanciò.
Nella notte del 24 luglio, ecco la seduta del Gran Consiglio dove, a maggioranza, fu votato l'ordine del giorno presentato da Grandi. Insomma, che il re prenda "quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono"! Il giorno dopo, Mussolini fu arrestato e sostituito dal maresciallo Badoglio. Come uscire, ora, dal conflitto? Ci si doveva intendere con gli alleati ormai in casa (alleati, ovvero i nuovi alleati, gli anglo-americani). Gli alleati, va detto, poco si fidavano dell'improvvisa conversione italiana, tant'è che le fortezze volanti martellavano e imperversavano ovunque. D'altra parte, sedici divisioni tedesche occupavano militarmente buona parte dell'Italia.
Le clausole alleate per l'armistizio (3 settembre) erano queste: uno, la resa delle forze armate e, due, il passaggio dei territori liberati sotto l'amministrazione degli alleati. Alla notizia dell'armistizio (diffusa l'8 settembre) i soldati italiani, lasciati privi di direttive ed esposti alla ritorsione degli ex alleati tedeschi, cercarono di mettersi in salvo come poterono. Molti riuscirono ad abbandonare la divisa e a far ritorno a casa, ma ciò risultò impossibile ai reparti che operavano in Francia o nei Balcani, rapidamente sopraffatti dai tedeschi. A Corfù, a Cefalonia, nel Dodecaneso si ebbero episodi di resistenza che si conclusero tragicamente. Lo sfacelo dell'esercito italiano dopo l'8 settembre fu totale: più di mezzo milione di soldati italiani venne deportato in Germania e circa 40.000 caddero combattendo. La flotta e l'aviazione riuscirono, invece, in massima parte a consegnarsi agli anglo-americani. Nel contempo, il re si rifugiava a Brindisi in territorio occupato dagli alleati, mettendo di certo in salvo la sopravvivenza dello Stato. Diciamocelo: ma vuoi che la gente, quella un pò più a nord e in balia dei tedeschi, non scambiasse quel regale spostamento come una fuga bella e buona? Dopo l'8 settembre, l'Italia era di fatto segata in due. A sud il re, al centro-nord i tedeschi e, sotto il loro controllo, la Repubblica Sociale Italiana (Repubblica di Salò), ovvero il rinato Stato fascista di Mussolini, liberato il 12 settembre dalla prigione sul Gran Sasso a opera di un'audace operazione di paracadutisti tedeschi. Oltre a badare agli alleati che premevano verso nord, i tedeschi dovevano fare i conti con la nascente resistenza, con la formazione di bande partigiane, nate in parte per iniziativa spontanea, in parte per iniziativa dei partiti. A queste, si unirono i militari sbandati che non volevano cadere in mani tedesche. La notte del 5 giugno 1944 gli alleati sbarcarono massicciamente in Normandia (ondate successive di tre milioni di persone). Con un costo altissimo di vite, le difese tedesche furono travolte. Su un altro fronte, i sovietici sfondavano aprendo la strada verso la Polonia (occupata in gennaio). Ma in Germania, il nazismo teneva ancora. Nell'inverno 1944-45, i tedeschi tentarono un'ultima offensiva sul fronte occidentale (nelle Ardenne). Per contro, i bombardamenti alleati sulla Germania furono in continuo aumento: la città di Dresda, ad esempio, fu rasa al suolo, nella notte del 13 febbraio 1945, da due bombardamenti ravvicinati che fecero oltre 130.000 morti. Il 7 marzo 1945, gli alleati attraversarono il Reno e dilagarono fino in Germania centrale, quasi senza incontrare resistenza. Stava però ai sovietici sferrare l'ultimo attacco verso Berlino. I lutti continuarono fino ad aprile. Caduta la capitale, il 7 maggio, l' ammiraglio Karl Dönitz, che Hitler aveva nominato suo successore, firmò la resa senza condizioni. E lì tramontò il Terzo Reich che, stando alla sua fede e alle sue aspettative, avrebbe dovuto splendere e regnare per mille anni (cfr. G. Perugi e M. Bellucci, Lineamenti di storia, III vol.: il Novecento. - Bologna: Zanichelli 1997, p.921 ss.).

La testimonianza
"[I] Era il giorno 15 gennaio 1941.
Partii per il servizio militare in marina, destinazione La Spezia.
Giunsi al deposito C.R.E.M. della marina dove rimasi fino al 31 gennaio 1941. Poi fui trasferito a Varignano, deposito delle batterie contraeree. Qui c'era la scuola dei sommergibilisti e dei volontari dei mezzi d'assalto della marina (si chiamano maiali) che in questa guerra ebbero molto successo, arrivando fino a Gibilterra e nei porti africani ad assaltare i convogli di navi inglesi e americane.
Andando in battaglia, colpivano molte navi che le mandavano a fondo.
Questi piroscafi erano carichi di materiali bellici e di uomini che andavano a combattere in Africa. Questi uomini [, dunque, che] si arruolavano volontari sui mezzi d'assalto erano tutti ufficiali e molti di loro morirono in combattimento e tanti furono fatti prigionieri.
A Varignano rimasi fino al giorno 15 febbraio 1941. Dopo, mi trasferirono all'isola Palmaria, vicino a Portovenere, nella batteria contraerea denominata Torre Umberto I.
Dopo un mese che ero in servizio in batteria, una notte siamo in allarme. Il comandante capitano di marina Walter Cacciatore ci ordina a tutti noi marinai di recarci ai propri pezzi. Erano sei cannoni 76/40 della marina.
Verso le ore quattro di mattina, aprimmo il fuoco sugli aerei inglesi senza nessun risultato, [tanto] che [gli inglesi] avevano sganciato in mare molte mine di profondità. [E questo fecero] poiché nel porto si trovava la flotta navale [II] italiana che al mattino sarebbe uscita per una missione di guerra.
All'alba della stessa mattina, [poi,] sono usciti i rimorchiatori dragamine che hanno raccolto le mine sganciate dagli aerei inglesi senza causare danno alla flotta.
La flotta navale che doveva compiere la missione di guerra era composta di queste unità:
- due corazzate, la Vittorio Veneto e la Duilio [gravemente danneggiata nella base navale di Taranto l' 11 novembre 1940];
- tre incrociatori, Fiume, Pola e Zara;
- due cacciatorpedinieri, [l']Alfieri e il Carducci.
La flotta navale, ha preso il largo [e] scortò un convoglio di navi tra cui il piroscafo Conte Rosso, carico di nostri soldati che partivano per l'Africa a combattere.
Era la grande battaglia sul mare di Matapan. Queste navi furono attaccate da una grande squadra navale inglese e da[i] sommergibili e dagli aerei siluranti.
Queste cinque unità, tre incrociatori Fiume, Pola e Zara e i due cacciatorpedinieri e il Conte Rosso vengono attaccate e affondate. In soccorso, in aiuto per salvare quei pochi marinai e [soldati dell'] esercito fu mandata una nave ospedale della Croce Rossa. [Si] son salvati pochi.
Quel giorno, per la marina italiana fu un martirio per uomini e materiale. In questa guerra, la marina ha avuto disastrose perdite sui mari.
Conoscendo molti amici marinai che erano imbarcati su unità da guerra [so che] son tutti morti. Un giorno, stando [originale: essere] in batteria, [ho visto che] rientrava la flotta navale da una missione di guerra [dopo] che ha combattuto.
Rientrava in arsenale per essere riparata dopo avere [originale: che hanno] subito i danni in combattimento. [La av] vistai con il [III] telemetro della marina.
L'incrociatore Bolzano partecipò alla [originale: dalla] battaglia di Matapan. Fu colpito da un siluro [lanciato] dagli aerei inglesi. Sapendo che si trovava imbarcato un nostro concittadino fuochista, Saretto Gino, sono salito a bordo a trovarlo.
Quando [ci] siamo visti, [ci] siamo abbracciati. Piangeva. Mi raccontò tutte le battaglie che partecipò sui mari. L'ha sempre vista brutta.
Durante il periodo che mi trovai in questa batteria, mi trovai molto bene all'isola Palmaria. Dal [originale: il] ministero della Guerra mi mandarono diversi fonogrammi per essere imbarcato su unità da guerra. Il comandante che comandava la batteria e il maresciallo di marina capo cannoniere mi volevano bene. Mandarono altri marinai al mio posto imbarcati su navi da guerra. [E] andando in missione di guerra, quelle unità furono affondate e i miei amici son tutti morti. In questa batteria eravamo, noi marinai, [in] ottanta. Eravamo come in una famiglia. Facevo anche il postino. Andavo a Portovenere a prendere la posta con la barca.
Ho vissuto quei mesi in questa batteria di felicità. Vicino a questa isola, ammaravano in mare degli aerei tedeschi. Si chiamavano Junker. Erano spaventevoli: trasportavano carri armati e truppe militari in Africa.
Il comandante mi dà il mio turno per la licenza di quindici giorni. Un giorno prima della fine della licenza, andai da mia zia a chiedere di suo figlio Gerolamo, mio cugino, classe 1920. Mi disse che era rientrato in Italia, che ha combattuto sui fronti [di] Albania, Grecia, Croazia e [su] altri fronti. [IV] [Era, ora,] a riposo con tutto il suo reggimento, il sessantottesimo fanteria, divisione Legnano.
Erano in un piccolo paese dopo Genova [che] si chiamava Sturla. Erano accampati in un capannone come caserma. Dormivano sul pavimento, sulla paglia come bestie.
Faceva freddo. Come erano conciati male per il mangiare... Nonostante questo, noi soldati di tutti i corpi abbiamo dato alla patria, non siamo stati riconosciuti [nel manoscritto: dopo tutto che hanno dato noi soldati da tutti i corpi alla Patria non siamo stati riconosciuti].
Mi raccontò [, dunque, del]le sue battaglie che partecipò dopo, con la divisione Legnano. Si trasferirono [infatti] al sud e lì collaborarono dopo [l']8 settembre del 1943 con gli alleati americani e inglesi. [Ci] siamo salutati. [Poi] io presi il treno per La Spezia.
All'isola Palmaria rimasi fino al 10 settembre 1942. Dal ministero della guerra mi arrivò il trasferimento. Il comandante non poté far più nulla per trattenermi.
Dovetti partire per Pola in forza al battaglione San Marco - truppe da sbarco.
Presi il treno da solo per Pola, con [gl]i zaini che pesavano sulle spalle. Arrivai al paese [di] Fidenza, presi il treno per Milano, arrivai alla stazione Centrale. [Il tutto] senza mangiare [perché] non mi hanno dato nulla di trasferta. Prendo il treno per Legnano [e vi] arrivai alla stazione alle ore due di notte. Fortuna [volle che sul treno] trovai un uomo con sua moglie di Legnano che sono andati a trovare la loro [sua, nel manoscritto] figlia a suora.
Mi dicono: "Marinaio, dove va?" Risposi: "Vado a casa mia fino a Dairago". Erano impietositi. Questa brava gente mi dicono di andare con loro a casa loro [sua, nel manoscritto]. lo accettai. Mi chiesero se avevo già mangiato. Risposi di no. Ero [infatti] da digiuno da quando son partito dalla batteria [sull']isola di Palmaria. Mi danno [V] da mangiare e [da] bere il proprio [suo, nel manoscritto] vinello che facevano in casa loro [sua, nel manoscritto].
Hanno voluto sapere della mia vita da marinaio e di quello che succedeva in [originale: dalla] guerra.
Arrivai a casa di mattina alle ore quattro [grazie anche a loro che] mi hanno prestato la bicicletta. Svegliai i miei genitori; gli ho spiegato tutto il motivo.
Alle ore sette, presi la bicicletta di mio padre e quella di quel bravo uomo e [glie]la consegnai [nel manoscritto: lo consegnò]. Li ho ringraziati [perché si erano mostrati] molto generosi verso di me.
Al pomeriggio, alle ore cinque, presi il treno a Legnano [con direzione Milano-Pola].
Dopo una giornata e una notte arrivai a Trieste. Si cambia il treno; prendo per Pola. [Il mezzo] arrivò [che] quasi [era] sera. Stanco, senza mangiare, mi presento al deposito del Battaglione San Marco. Mi danno qualcosa da mangiare. Sembravo un lupo. [Quindi] mi destinano a [per, nel manoscritto] dormire sui castelli di legno.
Alla mattina, mi presento in segreteria con i documenti di viaggio e di presentazione in caserma. Si doveva andare in Africa, a Tobruk, sulla nave San Giorgio. [Ma] la guerra andava già male [e] siamo rimasti in continente.
Al deposito del Battaglione San Marco, incontrai un nostro concittadino marinaio, Crespi Luigi. [Lui] è stato quattro anni all'isola di Rodi. Fu [poi] passato anche lui al [nel, leggendo il manoscritto] battaglione San Marco. Siamo rimasti poco tempo insieme. Lui [poco dopo] partì per la base navale dei sommergibili in Francia.
Al deposito del battaglione San Marco, il rancio è scarso. [Mi ricordo] un lunedì mattina: sveglia alle quattro per fare una marcia di cinquanta chilometri con gli armamenti di guerra [e con i] mortai in spalla. Alla mattina danno un solo mestolo di [VI] brodo. Siamo in cammino, stanchi dai chilometri che abbiamo fatto. Gli ufficiali, [invece, si spostavano] sui camion o [con le] macchine.
Arriva mezzogiorno. Arrivano le autobotti con il rancio: con il brodo, poco riso; danno un filoncino di pane e un mescolo di brodo e riso. [Un pranzo che] consisteva [di] poco. lo ho fatto un gesto: ho preso [infatti] quel poco pane [e] l'ho buttato via perché era poco. Mi ha visto un sottotenente di Genova: ha preso la pistola d'ordinanza, me la puntò alla testa. Mi voleva uccidere [uccidermi, nell'originale].
Ha detto [risoluto che] quei gesti, in tempo di guerra, [comportavano] o [la] prigione o [la] fucilazione! Mi ha molto spaventato.
Al deposito del battaglione San Marco, giorno 11 settembre 1942, [ci] perviene l'ordine dal ministero della Guerra [che impone] il trasferimento con tutta la compagnia a [originale: per] Roma.
Dopo due giorni di ferrovia tradotta, mangiando [originale: mangiare] una ga[l]letta e una scatoletta di carne conserva, arrivammo a Roma.
La nostra destinazione era a circa 20 chilometri fuori dalla Capitale. Era un piccolo paese, Storta. Ma la stazione radio era ancora [più] fuori dal paese [di] tre chilometri. In questa stazione troviamo il comando generale della Guerra - marina, esercito e altri corpi - e il comando generale della Guerra tedesco.
L'ordine che il Battaglione San Marco [riceve è quello] di difendere la stazione R.T. Santarosa da qualsiasi attacco nemico. Questa zona era collinosa [e] la stazione radio si trovava trenta metri sotterra [tanto] che, in caso di attacchi [e] di bombardamenti, non veniva danneggiata. C'erano le antenne di trasmissione [ed] erano alte cento metri e larghe cinquanta. Tanti marinai del B[attaglione] San Marco [vi] andavano in alto [e] dicevano che si vedeva tutta Roma. Le antenne di trasmissione trasmettevano su tutti i fronti, dalla Russia all'Africa, [VII] e sui mari. Noi del B[attaglione] San Marco eravamo informati di tutto sulla [originale: dalla] guerra che andava già male.
Per andare in galleria, in stazione radio c'era una strada per automezzi per gli ufficiali e, in più, [c'era] una scala secondaria di cemento formata da centoventi gradini. All'entrata [l'originale ha invece la preposizione nella] in galleria, si faceva la guardia in garitta un marinaio del B[attaglione] San Marco e un carabiniere.
[Fare] la guardia era dura [e] si montava con la mitraglia.
Il giorno 25 luglio 1943, giorno della caduta del fascismo, con noi c'era il comando generale della guerra tedesco [che, poi] si trasferì a Roma, vicino al cimitero.
Nella Capitale, la popolazione infuriata dalla guerra abbattevano con mazza e picconi qualsiasi simbolo del fascismo. Quel giorno siamo andati anche noi a Roma, in libera uscita, a vedere quello che succedeva. Tutto era fermo. Era un finimondo.
I romani non si accorgevano della [originale: dalla] guerra: se la spassavano, si divertivano. Quando gli americani andavano a bombardare le città, non se la sognavano dei [originale: dai] bombardamenti e [delle] distruzioni.
In questa zona passavano su noi centinaia di aerei americani (si chiamavano 'fortezze volanti') che andavano sulle città e fabbriche a bombardare.
[...] A tanti chilometri da noi si trova la città [di] Temi dove [originale: che] andavano a bombardare le acciaierie; era tutta distrutta.
Quel giorno, 25 luglio, gli uomini della milizia - fascisti, camicie nere - si erano rifugiati nelle loro caserme. Questi fascisti, quando andava[no] sui tram, non pagavano mai il biglietto. Noi [VIII] del B[attaglione] San Marco [ci] siamo accorti che non la pagavano. [Così, ci] siamo messi anche noi a non pagarlo. Veniva il bigliettario, ci chiedeva del biglietto [e] noi si diceva: "Quando pagano i fascisti paghiamo anche noi".
Ecco perché i romani non hanno mai avuto i bombardamenti, perché c'era il Vaticano e Roma era stata dichiarata città aperta.
Dopo pochi giorni, a Roma incominciano i primi bombardamenti. Tante bombe sono cadute [anche] nel cimitero. Fu scoperchiata la tomba di famiglia del papa Pacelli.
E in quella zona c'era un orfanotrofio con innumerevoli bambini: fu distrutto, non si salvò nessuno, tutti morti. Sul posto del bombardamento disastroso, si recò in visita il papa, Pio XII, e persino il re Vittorio Emanuele III - e contro di lui la popolazione imprecava chiedendo la fine della guerra.
Intanto su [in, nell' originale] questa zona passavano migliaia di aerei (fortezze volanti). Andavano a bombardare Roma e altre città. Nel passare, diversi aerei hanno sganciato il serbatoio vuoto della [dalla, nell'originale] benzina di cui [che, nell'originale] si rifornivano in volo: sembravano delle bombe [sganciate]. Siamo fuggiti nei bunker.
Giorno 8 settembre 1943. Il maresciallo d'Italia Pietro Badoglio dichiarò guerra alla Germania. [Propriamente, "con un comunicato radiofonico, alle 19 e 45 Badoglio annuncia agli italiani la firma dell'armistizio tra l'Italia e gli Alleati"].
L'Italia era sfasciata. L'Esercito era tutto abbandonato e distrutto. Il comando generale della guerra ordinò al nostro comando del Battaglione San Marco di difendere dagli attacchi tedeschi la stazione radio Santarosa con tutti gli [IX] uomini.
Di notte si trasferirono al sud. Così restammo solo noi del B[attaglione] San Marco.
Nella stazione radio che hanno abbandonato, c'erano milioni di lire di materiale che veniva tutto distrutto prima che andasse in mano ai tedeschi. Fra ufficiali e noi marinai eravamo in 110 - equipaggiati [con] miseri armamenti: quattro mitraglie da 20 millimetri, bombe a mano, pugnali e un [certo] quantitativo di moschetti.
Ad ogni modo, il nostro capitano ha detto: "Non si può affrontare [in queste condizioni] un nemico armato fino ai denti".
Intanto, a Roma imperversava la guerra contro i tedeschi e [i] fascisti.
Dopo giorni che siamo in attesa degli [dagli, nell'originale] ordini del [dal, nell'originale] nostro comando, avvistammo i carri armati tedeschi della divisione Goering, mentre tre battaglioni di camicie nere, fascisti, ci circondano.
Il nostro capitano ha dato l'ordine di distruggere tutto quello che si trova in magazzino: viveri, vestiario, riso, pasta, olio e tutto il resto. [Ciò] affinché non finisse nelle mani nemiche. Furono giorni disperati. Essere circondati giorno e notte non si dorme. In questi pochi giorni danno poco da mangiare: una galletta e una scatoletta di carne. Il nostro capitano al [originale: con il] comando della divisione Goering, tramite un interprete, ha chiesto la resa.
Al tedesco, dopo una lunga trattativa, il nostro capitano ha chiesto la resa con l'onore delle armi. Abbiamo deposto le armi nel cortile, sapendo che non potevamo in alcun modo [nell'originale: modo di] combattere senza successo contro i tedeschi e [i] fascisti.
Nel piccolo paese dove eravamo vicini [X] - si chiama Storta - gruppi di partigiani attaccarono i tedeschi e [i] fascisti. In combattimento, ebbero gravi perdite anche di uomini [dagli, nell'originale]. In conseguenza, noi [...] con tutta la nostra compagnia del B[attaglione] San Marco ci fecero tutti prigionieri.
E, da quel momento, iniziò il mio calvario di prigioniero.
I tedeschi e i fascisti ci inquadrarono e fummo costretti a camminare per molti chilometri a piedi per raggiungere la ferrovia. Un soldato tedesco mi fece aprire lo zaino; mi requisì l'orologio, una penna stilografica e un maglione del B[attaglione] San Marco.
Fummo caricati sui vagoni chiusi "scortati dai soldati tedeschi e dai fascisti".
Sparavano scariche di mitraglie per non fuggire. Arrivammo a Reggio Emilia che era già buio. Ci portano in una grande caserma dove c'erano già migliaia di nostri soldati prigionieri. Per mettere paura e impedire tentativi di fuga, sparavano raffiche di mitra e anche di mitraglia.
La notte è fredda. Si dorme sul pavimento senza nulla da coprirsi. Noi tutti avevamo solo quei pochi indumenti addosso [in d'osso, nell'originale che ricalca preciso la locuzione dialettale]. [E] ce li hanno requisiti tutti e [ci hanno lasciati] privi di tutto. [A noi,] da molti giorni senza mangiare, [loro] non danno nulla.
La fame si fa sentire. [Siamo anche] senza acqua. Durante il giorno, la popolazione di Reggio Emilia, soprattutto donne, si avvicinarono alla caserma, aggirando la sorveglianza delle sentinelle delle SS [abbreviazione di Schutzstaffel, 'reparti di protezione o difesa']. Al che, noi ci spingevamo a rischiare: calavamo, infatti, verso di loro degli zaini nella speranza di ricevere qualcosa da mangiare. Di quello che potevano [per la verità, l'originale così dice: si avvicinarono alla caserma e aggirando la sorveglianza delle sentinelle delle SS noi calando degli zaini dalle finestre per portarci qualcosa da mangiare di quello che potevano].
Se le [XI] sentinelle avvistavano gli zaini, sparavano con la mitraglia per distruggerli. La popolazione, così facendo, rischiava la propria vita per noi prigionieri.
Passano tanti giorni senza mangiare. Si comincia a deperire. I soldati tedeschi portano nel cortile della caserma alcune forme di formaggio. Noi eravamo da tanti giorni che [...] digiunavamo. E affamati come lupi. Loro, per divertirsi, le facevano rotolare per il cortile della caserma mentre noi tentavamo di prenderle.
I soldati tedeschi, con i carri armati leggeri, ci inseguivano mentre noi si scappava.
Chi si fermava, poteva essere schiacciato. Noi prigionieri eravamo molto preoccupati di quello che poteva succedere [da lì] in avanti, perché non si sapeva nulla di come sarebbe finita [nel testo: non si sapeva nulla che fine faremo].
Tanti padri di famiglia che avevano lasciato la famiglia con figli erano preoccupati e piangevano. Di quello che ho visto e subito in questa caserma, bisogna provare per credere [nell' originale: bisogna provare per credere in questa caserma di quello che ho visto e subito].
Cominciarono già le torture; si sentivano nella cella di punizione grida strazianti.
In caserma c'erano anche gli ufficiali fascisti camicie nere [che] torturavano. [...]
Invitavano a noi prigionieri di arruolarci [originale: arruolarsi] volontari nelle camicie nere per formare il nuovo esercito. Ma noi abbiamo rifiutato.
Giorni senza mangiare. Si deperisce tutti i giorni. [...] Si andava peggiorando. In questa caserma [eravamo] privi di ogni documento. Se morivo, i miei genitori non sapevano nulla [XII] [e] mi davano per disperso.
Comincia [originale: cominciano] la deportazione di noi prigionieri in Germania. Ci [ma nell' originale: li] caricano sui vagoni ferroviari, li caricano pieni: [uomini] come bestie senza mangiare, senza servizi. Si sentono delle grida strazianti. I vagoni non venivano aperti fino alla destinazione in Germania.
Erano tanti [i] giorni di ferrovia [che i prigionieri dovevano percorrere] senza mangiare e dormire. [I prigionieri] erano tutti sfiniti.
Arrivò il mio turno. Era sera buia. Ci prelevano dalla caserma. Siamo ancora in tanti. Ci, mettono in fila. Durante il tragitto dalla caserma alla stazione, c'è un po' di strada da fare. La popolazione di Reggio Emilia sta [nel testo: stanno] a guardare con la paura [addosso]. In quel momento prelevano anche molti civili.
I soldati tedeschi sparano in continuazione con la mitraglia per spaventarci, [per]ché non scappassimo. Era un fuoco continuo. Fummo caricati sui vagoni scoperti.
Si parte, di notte. [La notte] è fredda. Durante il viaggio, di giorno, la popolazione, quando il treno si fermava in stazione, ci portava [nell'originale: portavano] da mangiare. [Ci davano] quello che avevano: pasta, riso, patate, polenta, pane.
E noi, da tanti giorni senza mangiare, eravamo come lupi.
Eravamo scortati dai soldati delle SS e delle camicie nere fasciste. Ci dissero che ci avrebbero portati nei centri di raccolta dei prigionieri a Verona, ma non era vero.
Durante il viaggio, eravamo seguiti da un aereo da ricognizione che in seguito scaricava la mitraglia sopra di [originale: a] noi per [...] [impedirci] la fuga.
Di notte, i macchinisti del treno rallentavano la marcia del treno per consentirci la fuga. [XIII] Qualcuno, forse, sarà [anche] riuscito [a fuggire], ma si doveva rischiare la propria vita per farlo. Le SS e i fascisti, quando si accorgevano che il treno rallentava [ma nell'originale: quando il treno si accorgevano che rallentava], minacciavano i macchinisti, puntando le loro armi sulla schiena e intimavano loro di aumentare la velocità.
Arrivammo alla stazione di Udine. Il treno si fermò a causa di una coincidenza.
lo tentai la fuga. C'era un treno fermo. Ero già nascosto ma, purtroppo, mi vide un fascista che mi puntò il mitra sulla schiena. Mi gridò: "Traditore, salta sul treno e vai in Germania!".
Un nostro prigioniero tentò [anche lui] di fuggire ma viene ucciso.
Ripartimmo. Dopo tanti chilometri di ferrovia da Udine, si arriva alla stazione di Tarvisio. Incontrammo un treno proveniente anch'esso dall'Italia, colmo di ufficiali appartenenti a [originale: di] tutti i corpi: marina, esercito e altri corpi. Fra cui [c'erano] anche americani e inglesi fatti prigionieri in Africa. Discutemmo con loro; parlavano bene l'italiano. Ci raccomandarono di non scappare poiché entro breve tempo la guerra sarebbe finita perché la Germania ormai combatteva da sola. Invece, la guerra durò ancora due anni.
Alla stazione di Tarvisio, c'era una brava donna che ci incitava a scappare. Diceva che se ci [originale: vi] portano nei campi di concentramento e nei campi di sterminio in Germania, noi prigionieri non saremmo più ritornati tutti [nel manoscritto: se vi portano in Germania non saremmo più ritornati tutti noi prigionieri nei campi di concentramento e nei campi di sterminio]. lo mi trovai in tasca dei risparmi [sulla paga] che prendevo dalla marina: millecinquecento lire.
Prima che si parte, che si varca il confine [originale: confino] li regalai [originale: regalò] alla signora. Mi ringraziò. Quella signora aveva ragione [quando consigliava] di scappare per non andare in Germania.
[XIV] Dopo tanti giorni di ferrovia, varcammo il confino. Siamo in una stazione, sentiamo delle grida arrabbiate: "Italiani, traditori! Ora siete in Germania: ve la faremo veder brutta!".
Siamo [da] tanti giorni senza mangiare. Stanchi del viaggio. Per fortuna abbiamo trovato il tempo bello. Se avesse piovuto, con i vagoni scoperti [ci saremmo] tutti bagnati e saremmo morti di polmonite.
Arrivammo a [...] destinazione in una grande zona deserta priva di abitazioni.
C'erano solo diversi campi di concentramento.
Scendemmo dai vagoni. Ci incolonnano. A piedi percorremmo molti chilometri. Finalmente - quasi [era] buio - siamo arrivati al campo di concentramento, sfiniti dalla fame. Si dorme all'aperto.
[Il] giorno dopo, siamo tutti noi prigionieri in pensiero per [originale: di] quello che succederà in avanti alla [nel testo: dalla] nostra vita. Che fine faremo? Il campo è grande, è circondato con fili spinati. [In] quello in mezzo c'è la corrente: se uno tentasse di scappare [originale: scappasse] rimane fulminato. In questo campo non c'è acqua per lavarsi e bere. Siamo da tanti giorni sporchi.
In giornata, alle ore 16, ci danno un solo bicchiere di tè e più nulla fino al giorno dopo. Le baracche sono di legno, infestate di topi [e] di pidocchi. La notte dormimmo in baracca uno sopra l'altro perché sono strette e noi prigionieri siamo in tanti. Si dorme sul pavimento di legno. La notte è fredda. Non abbiamo nulla da coprirci. lo ero vestito da marinaio. Mi hanno spogliato di tutto. Mi hanno dato una giubba di fanteria tutta rotta [e] un paio di pantaloni di tela. Mi hanno preso anche le scarpe. Mi hanno dato un paio di zoccoli.
[XV] Siamo qua [da] tutto il giorno. Fra noi discutiamo della nostra vita. Che fine faremo? Siamo privi di tutto. Siamo qua che si piange. Tanti padri di famiglia piangono, pensando alla famiglia che hanno lasciato a casa, [pensando a] moglie e figli.
In questo campo, troviamo anche i prigionieri russi. Molti di loro li mandano a lavorare in miniera e solo pochi [fortunati] lavorano nei campi la terra dei contadini tedeschi [così che] loro hanno la possibilità di mangiare qualche patata.
Insieme a noi c'erano gli ufficiali che abbiamo [originale: siamo] trovati alla stazione di Tarvisio. Fra italiani, americani e inglesi, in tutto eravamo ottocento spinti e sfiniti dalla fame [originale: erano in tutti fra Italiani, Americani e Inglesi 800 spinti e sfiniti dalla fame]. Questi ufficiali barattavano con i prigionieri russi le poche cose rimastegli: anelli, orologi [e] persino [gl]i stivali in cambio di un poco di patate".
Carletto, a voce, riferisce così. "È il periodo, questo, in cui io e i miei sfortunati compagni ricevevamo un bicchiere di tè, alle quattro del pomeriggio" Un lusso, se non fosse che quello era l'unico alimento fornito dalla casa. Persin meno di quanto riporta Primo Levi ne I sommersi e i salvati: "Il regime alimentare di tutti i campi comprendeva un litro di zuppa al giorno ". E in relazione al proprio Lager; Levi aggiunge: "Per concessione dello stabilimento chimico per cui lavoravamo, i litri erano due" (p.741 ss.).
"Dopo [alcuni] giorni, questi ufficiali vengono prelevati [originale: li prelevano]; li caricano sui vagoni chiusi della [originale: dalla] ferrovia. Furono deportati in Polonia, nei campi di sterminio nazisti [Carletto sostiene di avere appreso là che si trattasse delle] fosse di Katin, e lì furono sterminati tutti. E di loro [originale: essi] [si] perse ogni traccia e lì morirono tutti nei [forni] crematori.
Un giorno, il comando tedesco di questo campo ci chiese se accettiamo di andare in fabbrica a lavorare. lo, insieme a un centinaio di noi prigionieri, ci presentammo al comando del campo dove presero i nostri nominativi nomi. Il mio numero da prigioniero [era il] 69611. Dopo tanti giorni - senza mangiare da quando mi trovavo alla stazione radio R.T. Santarosa Roma - ci danno un pezzo di pane e marmellata per il viaggio. L'abbiamo mangiato come se fossimo dei lupi affamati.
Abbiamo [XVI] salutato i nostri compagni prigionieri di questo campo.
Ci caricano su un piccolo treno. Attraversammo quella steppa di terra. Una carrozza è uscita dai binari. Si è rovesciata senza causare danni a noi e l'abbiamo messa ancora a posto sui binari. Si prosegue per la destinazione dove c'erano due corriere. Ci caricano per la [...] fabbrica. Era già sera quando raggiungemmo il campo di concentramento. Pensavamo di esserci solo noi [originale: pensando che eravamo noi soli] [e] invece c'erano già cinquecento prigionieri nostri.
Gli chiedemmo come si mangia. Ci rispondono: "Male, una sola volta al giorno, alla sera". Il cibo consisteva in erba di [originale: da] campagna e [in] un pezzo di pane di sette centimetri quadri. Era composto di segatura e farina nera. L'erba non veniva [neppure] lavata. Nella marmitta si trovava molta terra e non veniva nemmeno condita".
Nel luogo dove era finito - così Carletto riferisce - non c'erano posate, non c'erano gamelle. Che ciò rientrasse nell'intento nazista di vessare e umiliare? Lui, comunque, si arrangiò nella fabbrica. Lì infatti si costruì, con dei lamierini saldati, una sorta di gavetta.
"Da tanti giorni senza mangiare e morendo di fame [originale: o morire di fame], fino alla fine della disfatta della guerra della Germania ci danno una coperta e un sacco di tela con paglia come materasso per dormire sui castelli di legno.
Le baracche sono di legno. Siamo in venticinque per baracca. Si vedono pidocchi e cimici. Fa molto freddo. Ci dissero che siamo in Vestfalia, a venti chilometri dal confino con l'Olanda. Questo campo ha il numero 1420.
In questo campo siamo divisi in quattro:
1. [ci sono quelli] del campo di sterminio;
2. noi italiani;
3. i francesi;
4. i russi.
I francesi ci odiavano noi italiani perché l'Italia dichiarò guerra alla Francia.
Ci dicevano che siamo stati dei traditori. I soldati francesi ricevevano dei pacchi di viveri dalla Croce Rossa [XVII] Internazionale. Loro potevano mangiare qualcosa di buono, ma noi italiani e russi non avevamo avuto quella fortuna. Tutti noi eravamo sempre in pensiero per il nostro futuro [originale: per ciò di quello che si andrà incontro dalla nostra vita e che fine faremo]. Siamo sempre in pericolo.
Questa grande fabbrica, da come si vede, è mimetizzata: sembra una collina per non dare sospetti agli aerei inglesi e americani. [Giusto] per evitare i bombardamenti. Ma, di tanto [in tanto], venivano degli aerei [al seguito dei] ricognitori [e] sganciavano le loro bombe. E noi prigionieri di tutte le nazioni andavamo nei rifugi. Eravamo tutti contenti che bombardavano, ma [al contempo] avevamo [originale: era] una [gran] paura. La contraerea sparava in quantità sugli aerei senza colpirli.
Il mattino dopo ci portano in fabbrica nel reparto meccanica dove mi assegnarono la macchina, un tornio. Si lavora dal lunedì fino al sabato a mezzogiorno, facendo anche i turni di notte. [...] Questo campo viene comandato da un civile [italiano] che si trova in Germania per [...] lavoro dal 1938. E' un fanatico fascista. Si chiama Barnava. E' di San Donà di Piave, provincia di Venezia. Si comportò [come] un criminale contro noi prigionieri. [...] Mandò una ventina dei nostri compagni nei forni crematori. Non sono più ritornati. Tutti son morti.
Nel campo prestava[no] la loro opera un tenente cappellano e un tenente medico, fatti prigionieri in Russia. Il cappellano, alla domenica nel campo, celebra la santa Messa. Ci fa coraggio e ci conforta. Al tenente medico, il governo tedesco non passa nessuna medicina per noi prigionieri. [Così il nostro destino è] o morire o [passare nel] campo di sterminio che si trova vicino a questo [XVIII] campo.
Col passare dei mesi, le forze mancano. Il mangiare è sempre pessimo. Gli intestini si restringono. [Per] oltre un mese [ci] hanno dato da mangiare la pannocchia del granturco senza grano [ovvero: il tutolo]. Potete immaginare come si poteva vivere. Peggio delle bestie! Si doveva lavorare giorno e notte anche con la febbre a quaranta. Se uno non andava al lavoro, aveva finito di vivere [originale: per lui era finito di vivere]: [lo attendeva il] campo di sterminio.
Cominciano i primi bombardamenti sulla fabbrica. Si scappava nei rifugi. [Un giorno,] io e quattro compagni siamo andati nella cucina dei tedeschi per cercare da mangiare. Trovammo molti zampetti di maiale. Mentre cadevano le bombe e non pensando a [originale: di] quello cui [nel testo: che] si andava incontro - la morte -, noi siamo andati nei rifugi antiaerei dove c'erano i nostri compagni [e] dividemmo gli zampetti con loro.
Le sentinelle SS [a loro spettava l'amministrazione e la custodia dei campi di concentramento], se ci avessero scoperti a rubare, ci avrebbero fucilati all'istante.
[Certo] era meglio morire con una raffica di mitra che morire di fame.
Una mattina, dopo aver finito il [turno di] lavoro di notte in fabbrica, [oltre ]passo la ferrovia dove erano fermi dei vagoni. [In quel mentre, rimasi vittima di una attrazione istintiva e indomabile: la visione del cibo.] Mentre stavo per prendere dei cavoli [come un ladro], fui scoperto da una sentinella che mi lanciò contro un cane pastore tedesco - erano pericolosi [i cani come quello] - per farmi mordere le gambe. Non soddisfatto, [quel guardiano] mi portò al comando di polizia dove mi frustarono con un nerbo [nel testo: nervo] di gomma sulla schiena.
I miei compagni hanno visto il poliziotto [ma] non hanno fatto in tempo ad avvisarmi e fui preso. [E] i miei compagni [ne furono senza colpa e spiacevolmente coinvolti].
Arrivati [originale: arrivando] al cancello [stanchi del lavoro, fecero] per rientrare al campo di -concentramento. [Ma non poterono. Non era loro concesso. La regola infatti era questa.]
[XIX] Se alla sera andiamo, [tanto per dire, in] dieci prigionieri al lavoro di notte, alla mattina,finito il turno di notte, dobbiamo presentarci tutti e dieci: se [alla conta ne] manca uno, la sentinella della fabbrica non lascia passare nessuno per andare al campo. [E così, a motivo del mio furto,] quella mattina, i miei compagni hanno dovuto aspettarmi fin quando il corpo di guardia mi lasciò andare. [lo] piangevo come un bambino: la schiena era nera dalle nervate che ho preso.
Suonano le sirene d'allarme. Il cielo è solcato da grandi formazioni d'aerei (fortezze volanti) americani e inglesi. Nei [originale: con] massicci bombardamenti, sganciavano sulle [varie] città e [sulla capitale] Berlino tonnellate di bombe [così come] sui fronti. Se non [ci] fossero stati questi bombardamenti che l 'hanno rasa al suolo [insieme ad altre] fabbriche e città, la guerra continuava ancora per diversi anni. Le fabbriche andavano avanti per il lavoro di [originale: con] tutti i prigionieri [provenienti] da tutte le nazioni.
Le contraeree tedesche sparavano da matti senza colpire un aereo. Gli aerei americani, nel passare su questa zona, lanciavano dei manifestini scritti in [originale: da] tutte le lingue: italiano, russo, francese, polacco, olandese. E, fra le altre cose, c'era scritto questa frase: "Italiani, compite atti di sabotaggio". Se ci avesse [...] scoperti la polizia SS con i volantini [in mano] ci mandavano nel campo di sterminio e [...] noi eravamo [ma qui evidentemente l'ausiliare corretto è avere] finito di vivere.
In questo campo di sterminio, di [ma, nell'originale: alla] notte, si sentivano degli spari di mitra: soldati delle SS uccidevano quei poveretti prigionieri compresi anche noi italiani che non riuscivano più [ad] andare al lavoro nella [originale: in] miniera che si trova in questa fabbrica. I cadaveri li [XX] lasciarono tutto il giorno esposti in cortile. Dovevano servire da monito [ai prigionieri] quando alla sera ritornavano [originale: ritornarono] dal lavoro dalla miniera. [Un monito] affinché quei poveri esseri umani che [già] non si reggevano più in piedi lavorassero sempre di più. [A pensare] che erano sfiniti, scheletri. Erano cose disumane! Avevamo paura anche noi di fare quella fine.
In questo campo di sterminio, incontrai un nostro prigioniero. Era di Canegrate. Si chiamava, di cognome, Vignati. Veniva da un altro campo da dove era fuggito.
Dopo diversi giorni di inseguimento, lo catturarono e, per punizione, fu portato in questo campo di sterminio. Lavorava, come quei poveri inermi, in miniera. L'ho aiutato molte volte, passandogli delle rape che riuscivo a rubare sui vagoni della ferrovia. Era sfinito anche lui per la fame. Non [ce] la faceva più a camminare.
Per il come eravamo conciati, non eravamo creature da essere rimirate [ma l'originale riporta: non erano esseri di vederli come erano conciati]. Non l'ho più visto [il Vignati], non ho saputo più notizie di lui. Che fine ha fatto? L'hanno decimato anche lui come tanti prigionieri?
Un sabato pomeriggio, io e alcuni compagni riuscimmo a uscire dal campo. Non visti dalle sentinelle, oltrepassammo strisciando [originale: a striscioni] i reticolati. Se ci vedevano, ci davano una scarica di mitraglia [e] per noi era finita. Andammo nei campi a raccogliere le patate. Eravamo tanto contenti: ne abbiamo raccolte un bel sacchetto [e ci coccolavamo al pensiero che finalmente] per una settimana si sarebbe mangiato [si mangiava, nell'originale] qualcosa di buono che per noi sembrava la manna caduta dal cielo. Ma fu vano: nel ritorno, per andare nel campo di concentramento, quasi buio, passammo vicino al cancello del campo di sterminio dove c'era [XXI] il comandante delle SS e il capo campo che ci comandava noi.
[Questi] era un fanatico fascista: [...] mandò altri dei nostri prigionieri a Mauthausen e, lì, furono tutti morti. "Le SS dei Lager erano tutto fuorché un corpo disciplinato. [...] Quando un sottoposto è spinto a dimostrare la sua appartenenza al gruppo attraverso l'impegno personale, l'arbitrio assurge a prova di obbedienza" (W Sofsky, p.156 ss.).
Nel campo di sterminio ci allinearono assieme a una ottantina di noi prigionieri. Un amico, avendo le patate nei pantaloni di fanteria, [questi] si sono slacciati [e così le patate si] son perse per il cortile. Un soldato delle SS ci dice di raccogliere le patate. [E,] mentre che [le] si stava raccogliendo ci colpì con il nervo di gomma sulla schiena.
Siamo in attesa degli ordini del comandante delle SS e del capo campo Barnava. [...] Ordinano alle sentinelle delle SS di punirci. [La punizione] consiste in 25 nervate sulla schiena. Mandano [nella baracca] due prigionieri per volta. Noi siamo fuori dalla baracca. Si sentono grida strazianti. Invocano: "Mamma". Viene il mio turno. Le sentinelle mi buttano sul pavimento sopra le patate e si mettono a frustarmi con il nervo di gomma. [...] Il comandante delle SS e il capo campo Barnava non [erano] soddisfatti della punizione, [tant'è che] il comandante SS ha preso in mano una pila torcia per far luce [e] ordinò ai soldati di metterci in fila per tre.
Passò davanti a un nostro prigioniero [e] gli gridò: "Tu, Badoglio!" [e] lo schiaffeggiò pesantemente. E si fermò davanti a un altro e gli chiese: "Tu, Badoglio o Mussolini?". E, anch'egli fu picchiato. Il comandante si rivolse a tutti noi gridando che Badoglio e Mussolini sono stati due traditori della Germania. Non soddisfatto ancora, fece disporre i soldati tipo scacchiera e, facendo luce con la torcia in testa, ci ordinò di passare in [XXII] mezzo ai soldati. [Questi, che] erano armati con i mitra e il nervo di gomma, si son messi a pestarci.
Ad un tratto, sentii molti colpi sulla schiena. Per il dolore caddi a terra.
La stessa sorte toccò anche a tutti i compagni.
Dopo, finito [con] questa punizione, il comandante trattava [ovvero disponeva] con il capo campo Barnava di trasferirci [l'originale ha: di essere passati] per due mesi nell'altro campo, quello di sterminio [nell'originale: in questo campo di sterminio]. [Eravamo disperati perché si sapeva che così] non si usciva più vivi.
Invece, ci lasciarono andare nel [nostro] campo.
Arrivai in baracca dove c'erano i nostri compagni (quattro). Erano di Inveruno. Chiesi a loro di guardarmi la schiena. Mi riferirono che era tutta nera [e] si vedevano i segni delle nerbate che abbiamo preso. Era domenica. Mi venne la febbre. Non mi reggevo più in piedi dal dolore. Andai dal tenente medico; mi misura la febbre: è quasi quaranta. Il dottore non mi diede nessuna medicina. Il comando tedesco non passa nessuna medicina per noi prigionieri. Il lunedì non riuscivo [ad] andare al lavoro. Mi dovetti sforzare di andare, altrimenti mi avrebbero portato nel campo di sterminio [che] era la mia fine di vivere. Nel [originale: il] turno di notte, lavorano in fabbrica anche i prigionieri russi. Quando arriva la mezzanotte, il lavoro si ferma fino alla una, per permettere agli operai tedeschi di andare nel refettorio a mangiare quel poco di patate che portavano da casa. Qualche operaio tedesco lasciava qualche patata nel pentolino. Ci faceva a noi e [ai] russi un segno di andare a mangiare quel poco che lasciavano nel pentolino. Eravamo affamati come lupi. Noi tutti [...] prigionieri italiani, russi e francesi si mangiava [XXIII] una sola volta al giorno, alla sera, alle ore sei, quel pasto di erba da campagna e quel pezzo di pane nero. E [ciò] lavorando in fabbrica giorno e notte. La nostra vita, tutti i giorni, andava [...] peggio per la fame. Deboli, sfiniti e denutriti.
Di notte, con noi, lavoravano anche le donne russe. Anche loro sono senza mangiare come i loro [originale: suoi] connazionali soldati. Erano sfinite anche loro per la fame. Ci spiegavano che furono deportate via dalla Russia durante l'occupazione tedesca. Raccontavano che, durante la guerra in Russia e durante il periodo che si trovavano ancora in Russia, hanno salvati molti nostri soldati che combattevano sul fronte. [Questi] erano sfiniti dalla fame e dal freddo e senza indumenti e senza scarpe. [E poi] il congelamento. Era una distruzione per i nostri soldati e tanti sono morti sul fronte.
Con loro c'erano dei giovani. Ragazzi, strappati dalle braccia delle loro mamme, dovevano lavorare anche loro in questa fabbrica, se volevano vivere.
I russi erano solidali fra [loro]. Civili e prigionieri russi si aiutavano a rubare rape [e] patate. Andavano d'accordo tra di loro perché si trovavano nella stessa situazione. Una donna russa mi diede un pezzo di pane. lo e un mio compagno non volevamo prenderlo perché, poveretta, aveva fame anche lei [a giudicare da quello che si vedeva:] magra e sfinita e mal ridotta dalla fame. Vedendo quel gesto generoso verso di noi, vedendo [originale: vedere] una mamma straniera a dividere la sua razione di pane, [ci] siamo messi a piangere. La ricorderò sempre.
Insieme a noi, in fabbrica, c'erano i nostri lavoratori civili che si trovavano in Germania dal 1938 a lavorare. Gli abbiamo chiesto [XXIV] tante volte un pezzo di pane poiché loro avevano la possibilità di procurarcelo, ma loro rispondevano: "Badogliani, andate in Italia a combattere!" [Quindi] prendevano del pane in presenza di [originale: a] noi che si moriva di fame e, per umiliarci, lo calpestavano sotto i piedi. Noi, vedendo quel gesto di quei traditori fascisti, ci venivano le lacrime agli occhi.
Tutti noi prigionieri, tutti i giorni che si andava avanti, eravamo denutriti per la fame. Da quando ci avevano [originale: eravamo] deportati in Germania, erano trascorsi sei mesi. Non avevamo notizie da casa e dall'Italia.
Dopo [ci] hanno dato delle cartoline da prigioniero per poter scrivere a casa per informare le nostre famiglie che siamo vivi e siamo prigionieri dei tedeschi e delle nostre condizioni in cui ci [testo: che si] troviamo. Eravamo nel mese di maggio 1944. Scrissi [così] ai miei genitori: "Se volete vedere vostro figlio, [...] potete mandarmi dei pacchi di viveri perché in prigionia sotto i tedeschi si muore di fame".
In tutto il tempo in cui fui prigioniero, in questi due anni ne ricevetti solo sei. I miei genitori si erano privati loro del necessario per me. Ero molto preoccupato per la salute di mia mamma che l'avevo lasciata ammalata.
Siamo nel mese di maggio 1944. Scrivevo la verità alla mia famiglia, [scrivevo] della vita da prigioniero, [ovvero] che eravamo privi di tutto e le mie condizioni di salute [e] che si andava male. Mi ritornò indietro tutta la mia corrispondenza. Tutte le cartoline da prigioniero venivano passate sotto la censura. Mi minacciarono. Le cartoline erano cancellate tutte di rosso. [Ciò era come ammonire] che se non avessi cambiato il metodo di scrivere mi avrebbero mandato [originale: mandarono] nel campo di sterminio qui vicino [e] io avrei [originale: avevo] finito [XXV] di vivere.
Nel reparto dove si lavorava c'era un ingegnere tedesco. [Con lui] noi [ci] siamo lamentati per quel mangiare che ci davano [e che] consisteva sempre [in] quell'erba da campagna. Egli ci rispose [dicendo] che la Germania la guerra del 1915-18 l'aveva persa per la fame. Ma questa [guerra la Germania] non poteva perderla perché ovunque [i tedeschi] andavano, in tutte le nazioni che venivano [da loro] occupate, [loro] saccheggiavano e portavano via tutto e ci disse che questa guerra non l'avrebbero persa [nell'originale: perdevano] per la fame.
Con noi c'erano tanti soldati nostri che avevano combattuto sul fronte russo e furono fatti prigionieri dai tedeschi. Dicevano che durante la ritirata dei tedeschi e [degli] italiani essi dovevano proteggere la ritirata dei [ai, nell'originale] tedeschi i quali scappavano e portavano via tutto per salvarsi dall'avanzata dei soldati russi, compreso i camion. I nostri soldati, per salvarsi anche loro, si aggrapparono ai camion tedeschi, alle sponde. [Ma] i soldati tedeschi con le baionette gli tagliarono le mani. E [pertanto] i nostri soldati erano abbandonati e con il freddo e [il] fango morirono dissanguati.
Era l'inverno russo; il tempo era pessimo: neve, freddo. I nostri poveri soldati erano governati male. L'esercito era sfasciato, era in ritirata. Durante l'avanzata dei [originale: dai] soldati - mal ridotti, feriti e anche morti - veniamo schiacciati dai carri armati e [da] altri mezzi pesanti. Così [almeno] hanno detto i nostri soldati che si sono trovati sul fronte russo a combattere.
Una domenica mattina, questa zona [del nostro campo di concentramento e di sterminio] viene sorvolata da centinaia di formazioni di bombardieri, aerei (fortezze volanti) alleati americani e inglesi. Andavano su Berlino e [su] altre città a bombardare. Nel passare [XXVI] su questa [nostra] zona, sganciarono un'infinità di spezzoni incendiari e bombe sulla fabbrica. Colpirono un reparto di gomma e, su questo [nostro] campo e [su] quello di sterminio, incendiarono diverse baracche di legno. [E io,] mentre che scappavo nel rifugio antiaereo, uno spezzone incendiario me lo trovai [originale: trovò] a poca distanza: se mi colpiva; per me sarebbe stata la mia fine.
Le batterie contraeree con cannoni e mitraglie sparavano all'impazzata. Era un fuoco continuo: un aereo americano fu colpito con il suo carico di bombe e si schiantò a qualche chilometro da questo campo. Fu un finimondo. Se veniva giù al [nostro] campo, per noi era finita.
Siamo di sera tardi [e] il campo fu messo in stato d'allarme. Le sirene suonano. Le sentinelle delle SS ci gridano di andare nei rifugi antiaerei. Le sentinelle ispezionano le baracche [e, lì,] sotto a un letto a castello, trovano il capo baracca: era un sergente. [Questi] si chiamava Cressati, era di Udine, sposato, con una figlia in [originale: di] tenera età. I rifugi erano freddi, lui soffriva di artrosi [e, per i] forti dolori che aveva, non poteva scendere [nei [rifugi]. Le sentinelle di ispezione, [dunque,] lo trovarono sotto il letto [a] castello, lo prelevano, lo portano al comando di polizia dove fu frustato e [dove] gli tagliarono la faccia con la punta della baionetta. [Quello] perde sangue. Era stremato. Lo condussero, [allora,] in un altro campo di sterminio, [quello] di Bochum. E lì muore dalle torture che subì.
Quando sono stato liberato dagli alleati americani e inglesi, sono andato al cimitero [e] ho trovato la sua tomba. C'era una croce di legno con scritto il suo nome. E, insieme a lui, erano sepolti tanti [XXVII] nostri prigionieri italiani e di altre nazioni.
Questa grande città era rasa al suolo dai grandi bombardamenti. Una domenica notte era caduta la neve. Alcuni nostri compagni tagliarono i reticolati per andare a rubare le rape barbabietole che erano il pasto preferito dai soldati tedeschi.
Il comandante delle SS e il capo campo Barnava, fascista, ci radunarono tutti in cortile [dove ci] hanno fatto una morale minacciosa. Chiesero che i colpevoli facessero un passo avanti [e] che [solo così] non sarebbero stati puniti. Noi tutti, però, [non credendo alla parola,] eravamo [invece] d'accordo che nessuno uscisse se [no i responsabili] sarebbero finiti nel campo di sterminio e, lì, era la loro fine [originale: sua]. [Al che,] il comandante delle SS e il fascista Barnava decisero di punirci tutti. Il cortile era tutto coperto di neve. Le punizioni cominciarono alle ore sette di mattina. Ci facevano correre sulla neve per diverse ore e, con le mani sotto la neve, ci facevano sdraiare sulla neve. Per tutta la giornata eravamo tutti bagnati, pieni di freddo e senza indumenti da cambiarci. Finita a ora tardi [la punizione], ci fecero rientrare in baracca, [in quelle baracche] freddissime, dove c'era [sì] la stufa, ma il carbone era molto scarso.
Il periodo d'inverno abbiamo sofferto molto freddo e non [ci] hanno dato da mangiare quella porcheria di erba. Una domenica di mattina ci prelevano. Un centinaio di noi prigionieri fummo caricati sui camion. Ci portarono lontani, in una zona boschiva dove c'era un campo di aviazione: vi erano aerei da combattimento Stukas [che] partivano carichi di bombe per le missioni di guerra.
[XXVIII] Ci danno un badile e un piccone. Comincia il nostro lavoro. Si scavano delle trincee e camminamenti. A mezzogiorno speravamo che ci davano qualcosa da mangiare, ma le nostre speranze furono vane. Eravamo sfiniti dalla fame e dal lavoro che abbiamo fatto. Noi prigionieri che lavoravamo in fabbrica ci retribuiscono alla fine del mese con dei soldi marchi di carta [che,] però, non hanno nessun valore. Nel campo c'è uno spaccio dove potevamo comprare birra, lamette per barba, sapone per lavarsi e più nulla.
Durante il mese, ci passano anche ottanta sigarette; siccome io non fumavo [originale: fumando], li barattavo con i tedeschi civili operai per qualche chilo di pane. Intanto [...] passavo le sigarette [anche] ai miei compagni che bruciavano per il fumo.
Dopo aver lavorato tutta la notte in officina, si rientrava al campo all'alba. Prima di andare a dormire, andavamo in cucina per prendere una brocca di surrogato come caffè. Dovevamo passare davanti al corpo di guardia delle SS vicino alla cucina. [Il corpo di guardia delle SS] custodiva anche una cantina dove si trovavano delle botti di cipolle sottaceto e barbabietole. Mentre la sentinella [delle] SS passeggiava, noi, facendo molta attenzione, riempivamo la brocca di cipolle. [Ma,] mentre che rientravamo in baracca, la sentinella mi ispezionò la brocca. [Scoperto il furto, la sentinella] mi voleva punire con lo [originale: il] sgabello. [Al che, io ho tentato di corromperla, riuscendoci:] le ho fatto capire che le davo un pacchetto di sigarette e [solo così] ho schivato quella tremenda punizione.
Anche altri [l'originale ha: mentre i] nostri compagni vennero sorpresi mentre rubavano le cipolle. In [XXIX] questo caso, la punizione era tremenda [e] consisteva nel tenere sollevato uno sgabello pesante per venti minuti. Quelli che non resistevano, per cui finivano svenuti per terra, li facevano rinvenire a colpi di nerbo sulla schiena. [Oltretutto,] mangiando quelle cipolle sottaceto, gli intestini si ammalavano dal bruciore e andava male per lo stomaco.
Tutti i giorni, la nostra vita peggiorava [originale: si andava dal peggio] per la fame. Un sabato pomeriggio, insieme ad altri compagni, oltrepassammo i reticolati sempre sorvegliati dalle sentinelle: se ci vedevano a scappare dal campo ci davano una scarica di mitraglia. [Dunque,] ci recammo in un campo a raccogliere le patate. In quel momento, arrivò un contadino il quale ci disse che potevamo [...] raccogliere le patate [...] [chiedendoci, per contro, soltanto] di spianare il terreno [una volta finita l'operazione]. Avevamo finito di riempire i sacchetti e, [triste sorpresa,] il contadino ci ordinò di lasciarli ancora sul campo. Noi cercavamo di fargli capire che siamo prigionieri, che eravamo affamati per la fame, ma lui non ci ascoltò. Fra noi c'era un brigadiere dei carabinieri che teneva una paletta di ferro per raccogliere le patate. Il contadino gli [originale: la] chiese di consegnar[glie]la. Il brigadiere [glie]la consegnò in mano. Fortuna che si allontanò prontamente, altrimenti [il contadino] l'avrebbe colpito sulla testa [e] poteva essere ucciso. [Quindi, come lepri,] noi [ci] siamo messi a scappare per il campo. Il contadino ci inseguiva in bicicletta. Se ci avesse raggiunti, per noi [ci] sarebbero stati dei guai: ci portava al campo di sterminio. [Certo,] avremmo potuto prenderlo e ucciderlo e buttarlo nel canale d'acqua [XXX] che scorreva vicino. Ma la paura di essere scoperti era più forte: per noi [la conseguenza temuta era che] avevamo finito di vivere. E decimavano anche il nostro campo.
Una notte, mentre eravamo in fabbrica a lavorare, si sentono le sirene d'allarme: si scappava nei rifugi. La fabbrica è sorvolata da molte formazioni di aerei (fortezze volanti) americani e inglesi. Andavano a bombardare le città e [le] fabbriche.
Nel passare su questa [nostra] zona sganciavano un'infinità di razzi illuminanti e incendiari. Le contraeree, con i fari, illuminavano il cielo e si vedevano gli aerei. Le batterie aprivano il fuoco con cannoni e mitraglie. Qualche aereo fu colpito; le schegge cadevano a pioggia. lo e un nostro compagno ex partigiano di Ganna Varese - si chiama Sassi Riccardo, classe 1913 - non pensando al [dal, nell'originale] pericolo cui [che, nell'originale] si andava incontro, andammo nella cucina dei tedeschi e trovammo delle marmitte piene di riso che lo dovevano mangiare loro. Le portammo nel rifugio e mangiammo il riso con i nostri compagni.
Insieme a noi c'erano anche i prigionieri russi. Erano con noi. Sembravano dei lupi affamati. Se ci prendevano a rubare, le sentinelle delle SS ci fucilavano all'istante.
Sempre in fabbrica, si trovano sui binari della ferrovia dei vagoni di rape. Noi e i prigionieri russi andiamo all'assalto dei [ai, nell'originale] vagoni. lo, vicino alla macchina [utensile] su cui [che, nell'originale] lavoravo, ho riempito una cassa di rape. Il capo reparto tedesco la trovò. Non mi disse nulla, ma mi fece capire che potevo mangiare. Quello era un bravo uomo [XXXI]: ci considerava [in virtù] della vita da prigioniero che si faceva. Ripeto ancora [che] tutti i giorni che si andava avanti, per la fame, si andava sempre [originale: dal] peggio.
Quando mi hanno fatto prigioniero, pesavo ottanta chili. Trovandomi in questo periodo, mi sono ridotto a sessanta chili. Avevo già perso venti chili di carne.
Molti operai tedeschi anziani che lavoravano con noi dicevano che anche loro erano stanchi della [originale: dalla] guerra. Durante i bombardamenti, hanno perso tutto: case [e] famigliari.
In fabbrica c'era una scuola per meccanici. Nel pomeriggio, la frequentavano gli studenti dai quindici ai vent'anni. Questi ragazzi (italiani) rivolgendosi a noi italiani ci dicevano: "Badogliani, kaputt!". Come dire: "Morte!". E dicevano che ci [originale: secondo loro dicevano che] siamo comportati da traditori verso la Germania.
Il capo del governo Hitler, criminale, ordinò la mobilitazione generale. La guerra andava già male [...] [e lui] richiamò tutti gli uomini sotto le armi, dai quindici ai sessant'anni. Questi giovani furono inviati al fronte per combattere contro gli alleati americani e inglesi [che,] con grandi formazioni di aerei (fortezze volanti), bombardano il fronte.
Durante l'offensiva, nell'avanzata [alleata] molti [tedeschi] furono fatti prigionieri e altri morirono in combattimento. Noi si sapeva le informazioni sull'andamento della guerra. Le ricevevamo da alcuni operai tedeschi sovversivi antinazisti contro Hitler, i quali ascoltavano Radio Londra. Dicevano che la guerra comincia [ad] andare male anche per loro.
Il capo campo fascista Barnava tutte le sere ispezionava le baracche: ci faceva uscire fuori dalle baracche [XXXII] e, dopo averci disposti in fila per tre, ci contava. Aveva paura che qualcuno scappasse. Ma non si poteva scappare [originale: a scappare]. Era brutta [l'ispezione] perché noi eravamo schedati con i nostri nomi. Faceva freddo e, quando pioveva, [Barnava] ci lasciava fuori dalle baracche e noi eravamo tutti bagnati.
C'era da morire. Durante la prigionia, in questo campo, una domenica ci portarono in fabbrica dove a tutti noi fu scattata una foto. lo avevo il numero 62. In questo campo, trovammo altri soldati che erano stati catturati, dopo l'8 settembre 1943, in Albania, [in] Croazia, [in] Jugoslavia, in Russia e [in] altre nazioni.
Raccontarono le loro battaglie che hanno fatto contro i tedeschi. [Questi, con lusinghe,] [g]li dicevano di deporre le armi e [tanto riuscirono nell'inganno che] li disarmarono. Gli avevano, [infatti,] promesso che li avrebbero condotti in Italia liberi, [promesso] che per loro la guerra è finita. Ma, in realtà, furono caricati sui treni con i vagoni pieni come fossero bestie. Solo quando oltrepassarono la frontiera [i prigionieri si] sono accorti che la loro destinazione era la Germania.
Erano sfiniti per la fame e conciati male. In baracca con me c'era un alpino catturato in Albania. Mi raccontò che il suo reggimento ha combattuto e [che fu] decimato dai tedeschi. Il suo nome si chiamava Brusegan Antonio, classe 1909 richiamato. Il [suo] paese era Campugnara, provincia di Venezia. Non era sposato.
[I] suoi famigliari erano contadini [e] avevano la possibilità di mandargli venticinque pacchi di viveri.
Antonio, dall'Albania, aveva portato in questo campo un crocifisso alto un metro [e] largo mezzo metro. Con noi, in questo campo, si trovavano prigionieri catturati in Russia [tra cui] un tenente cappellano [che] era di Bergamo e un [XXXIII] tenente medico. Il cappellano fu molto contento nel vedere questa croce. L'aveva appesa in baracca.
Il cappellano, alla domenica nel campo, celebrava la santa messa e con le sue parole ci confortava e ci faceva coraggio.
Con Antonio, si dormiva nella stessa baracca, nello stesso castello. [Ecco] la sua fine, [la fine] di questo povero compagno. Come tanti altri che son morti, lavorava in fabbrica ai forni di carbone per la lavorazione del ferro [originale: che lavorava il ferro]. Il suo lavoro. Passando dei giorni, [Antonio] non si sente [originale: mi sento] di andare al lavoro. Gli [originale: mi] mancano le forze. Chiamai il tenente medico: lo visita, lo ricovera in baracca [usata] come infermeria. [G]li trova la tubercolosi fulminante. [Il medico] non ha nessuna medicina da somministrargli. Il governo tedesco non passava nessuna medicina a noi prigionieri. E [fu, così] la [...] fine di Antonio. Si è spento.
I cadaveri dei prigionieri venivano avvolti in un pezzo di tela e seppelliti come cani.
Il cappellano [gli] ha dato la benedizione.
Il campo era diviso in quattro parti con [da, nell'originale] una rete metallica.
Ci [originale: si] vedevamo noi italiani, francesi e russi. Nel [originale: il] campo di sterminio c'erano i russi i quali dissero che, in tutto il tempo che si trovavano in questo campo, son morti circa centocinquanta con il tifo petecchiale. Anche nelle nostre baracche si vedevano pidocchi. In fabbrica c'era un locale [e,] ogni tanto, ci portavano per la disinfestazione. Si mettevano quei [nostri] pochi panni [che indossavamo] [dove?,] [per cui,] con la caloria, quegli insetti morivano e noi, finalmente, facevamo il bagno.
Una mattina siamo rientrati al campo dal lavoro di notte. Siamo a dormire [e,] dopo qualche ora, udimmo delle grida strazianti.
Mi alzai con i miei compagni. [XXXIV] Spaventati. siamo andati a vedere, di nascosto dalle sentinelle delle SS, quello che stava succedendo in mezzo al cortile.
Vidi i soldati delle SS che stavano punendo [originale: punire] un nostro prigioniero.
Al poveretto hanno dato [originale: il poveretto l'anno dato] una carriola da muratore piena di sabbia e in mezzo al fango lo facevano correre. Cadeva nel fango svenuto. [E] loro, con i fucili con le baionette innestate, lo pungevano [su] tutto il corpo. Si vedeva grondare sangue. A tortura ultimata, l'hanno portato via dal campo e di lui non si è saputo che fine ha fatto, se era ancora vivo dopo [di, nell'originale] quelle punizioni tremende che subì o se [era] morto.
Siamo nel 1945. Anche noi eravamo informati su quello che accadeva sul fronte tedesco. Gli americani e [gli] inglesi, prima di sbarcare in Francia, [...] in Normandia, con [una] infinità di navi da guerra e formazioni di migliaia di aerei (fortezze volanti), prima di sbarcare a terra, gli alleati [, dunque,] hanno paracadutato finti paracadutisti di gomma per individuare il fronte tedesco e le batterie contraeree, mentre [originale: e] un treno blindato sulla linea Maginot era armato con grandi cannoni. [Gli alleati, quindi,] bombardano il fronte tedesco e sganciano migliaia di veri paracadutisti. Le navi attaccano a bombardare il fronte tedesco che comincia a battersi in ritirata e dalle navi sbarca [...] tanto materiale bellico, carri armati e centinaia di migliaia di uomini. E proseguono l'avanzata.
Queste notizie si sapevano dagli operai tedeschi. [E della notizia] che gli alleati avanzavano, noi prigionieri italiani, francesi e russi eravamo molto contenti.
Noi [stavamo] sempre con il morale alto, sperando che arrivassero [XXXV] al più presto a liberarci. Ma quando il fronte alleato indietreggiava, il morale si abbassava. Come si vedevano grandi formazioni di aerei passare su [originale: passando in] questa zona, [quelli] andavano a bombardare le città [e le] fabbriche [tedesche] distruggendole. Erano rase al suolo. Se non fosse stato [per] questi bombardamenti, la guerra sarebbe durata ancora diversi anni.
Una mattina siamo al campo, finito il turno di lavoro di notte. [Ebbene,] suonano le sirene d'allarme. Formazioni di aerei alleati stavano sorvolando questa zona: andavano a bombardare Berlino. Le contraeree rispondevano al fuoco con cannoni e mitraglie. Le schegge cadevano a pioggia. [Nella circostanza,] io, insieme a quattro compagni, [tentammo la fuga, ritenendo di] non essere visti dalle sentinelle delle SS - se ci vedevano a scappare dal campo, avevamo finito di vivere [originale: per noi eravamo finito di vivere].
Oltrepassammo, strisciando, i reticolati. Ci trovammo in aperta campagna, poco distante dalle batterie contraeree. Raccogliemmo delle patate e ci nascondemmo dentro in una buca scavata da una bomba sganciata da un aereo [di quelli] che stavano bombardando [originale: bombardare] la fabbrica. [Stavamo, dunque, nella buca] dove accendemmo il fuoco per cuocere le patate. Se si fossero accorti i soldati tedeschi del fumo, lo avrebbero scambiato per segnali fatti agli aerei americani e inglesi per segnalare la fabbrica da bombardare [originale: per bombardarla] e ci avrebbero uccisi all'istante.
Anno 1944, giorno 20 luglio. Adolfo Hitler con Mussolini suo ospite per una visita ufficiale in una località in Germania, durante un sopralluogo nella tana del lupo, il rifugio segreto dove [lui] è, esplose una bomba.
Hitler fu ferito leggermente. Si salvò anche Mussolini. [XXXVI] Il colonnello Klaus von Stauffenberg che aveva collocato sotto il tavolo l'ordigno, in una borsa, era il colpevole con altri ufficiali. Erano dei sovversivi antinazisti contro Hitler e contro la guerra. Furono fucilati tutti. Se quei due capi fossero morti nell'attentato, la guerra sarebbe finita subito. Intanto è andata male per l'Europa e anche per noi prigionieri da tutte le nazioni, [per]ché abbiamo sofferto ancora un anno di campo di sterminio.
Siamo, [con le nostre notizie,] sul fronte francese. Intanto le truppe alleate avanzano. Il morale è alto. Con [il] passare dei giorni, le truppe tedesche cominciano a ritirarsi.
Questo campo [dove noi prigionieri ci troviamo] si trova in Vestfalia, a venti chilometri dal confino con l'Olanda. In officina arrivano i carri armati quasi distrutti dai combattimenti. Tocca a noi prigionieri rimetterli in sesto [originale: toccano a noi prigionieri a rimettergli in efficienza] per rimandarli ancora sul fronte a combattere.
Vicino a questo [nostro] campo, scorre un grande canale navigabile [il Mittellandkanal?].
Proviene da Amsterdam (Olanda) e arriva fino a Berlino - così dicevano i tedeschi.
Le truppe tedesche battevano in ritirata. Si vedevano già truppe sfasciate, mal ridotte. Sul canale, si vedevano gli zatteroni [che] erano strapieni di soldati che scappavano dal fronte: mal ridotti e anche feriti. E si alleggerivano buttando via anche le armi.
Giorno e notte si sente il tuono dei cannoni alleati. La notte era illuminata dalle vampate di fuoco dei cannoni che bombardano il fronte. Gli aerei alleati americani e inglesi sganciavano tonnellate di bombe sul fronte per distruggere la ritirata dei tedeschi. [In] questo [nostro] campo di sterminio, siamo a una decina di chilometri [XXXVII] da [quel] campo da dove partivano le armi più pericolose che possedeva la Germania, [ovvero] la V1 e la V2 - così dicevano i tedeschi.
Dal campo dove eravamo noi, si vedeva [originale: noi essere in questo campo si vedevano] come partivano e andavano sull'Inghilterra a bombardare. E arrivavano anche su Londra.
Il fronte della guerra era ormai ai confini con l'Olanda e [la] Germania. Si sente il rombo dei cannoni e dei carri armati alleati. [Gli] aerei bombardano il fronte tedesco in ritirata. Si vedono anche dei duelli aerei. È un finimondo!
[Un] giorno di domenica siamo rinchiusi nelle baracche: [è] un ordine del capo campo fascista Barnava con le sentinelle delle SS armate con i mitra, pronte a far fuoco su tutti noi. È il nostro calvario. Siamo [nel]la settimana di Pasqua.
Il lunedì, mentre eravamo in fabbrica a lavorare, alle ore nove di mattina, arrivò l'ordine che tutti i prigionieri italiani, francesi e russi debbano recarsi nei rispettivi campi di concentramento. La grande fabbrica viene chiusa.
Arrivammo al campo [e] qui c'era il capo campo Barnava che discuteva con il comandante delle SS del campo di sterminio. [Ciò] che si erano detto lo abbiamo saputo [solamente] alla fine della settimana.
Il capo campo - quel fanatico fascista Barnava - aveva ordinato al comandante delle SS di fucilarci tutti. Ucciderci! Noi italiani, oltre [a] quelli che son morti per malattie e per la fame, eravamo rimasti ancora in cinquecento circa.
Siamo stati rinchiusi tutto il giorno nel campo con le sentinelle armate di mitra, pronte a far fuoco su noi. Viene sera: ci inquadrano in fila, senza mangiare quella porcheria di erba e quel pezzo di pane. Con noi c'è anche il tenente cappellano e il tenente medico. lo portavo quel crocifisso [XXXVIII] che avevamo in baracca che lo portò [Antonio,] un nostro prigioniero dall' Albania, [come si è detto, e] che morì in questo campo. E' sera buia. Ci portano via dal campo 1420 per una destinazione ignota, camminando per tutta la notte. [E la notte] è fredda, senza nulla da coprirsi.
[Ac]compagnati dalle sentinelle delle SS, si arriva - martedì mattina sfiniti dal sonno e stanchi per i chilometri [originale: stanco dai chilometri] che abbiamo fatto.
Ci fermano in un bosco per non farci [originale: farsi] vedere dagli aerei americani e inglesi perché, dall'alto, potevamo essere scambiati per una colonna militare tedesca. Ci mitragliavano tutto il giorno in questo giorno. Si discuteva fra noi e il cappellano e il tenente medico: "Che fine faremo e dove ci portano?"
Martedì sera ripartimmo. Siamo in cammino su una strada. C'è un ponte da passare. Mentre la colonna diventava più lunga, i soldati delle SS ci gridarono di camminare; ci puntarono addosso i mitra e ci picchiarono con le armi.
Alcuni dei nostri compagni cadevano per terra. Non [ce] la facevano più a camminare e venivano abbandonati. E chissà che fine hanno fatto. I soldati delle SS non perdonavano. È notte buia. Si sentivano degli spari di mitra e rivoltelle: quei nostri poveri compagni venivano uccisi.
Siamo al mercoledì, sempre nei boschi. Siamo sfiniti per la fame e tutti pallidi: è sera. Si parte di notte. Siamo in cammino. Percorrevamo un sentiero di [originale: da] campagna. Trovammo dei bidoni del latte che i contadini li preparavano per la consegna al mattino. Infatti, passavano i camion per raccoglierli [e] per portarli alla centrale del latte. Noi, che ormai digiunavamo da tanti [XXXIX] giorni, prendemmo d'assalto i bidoni per bere il latte. Le sentinelle delle SS, prontamente, spararono con le armi su di noi.
Molti furono uccisi e tutti noi siamo rimasti pietrificati nel [a, nell'originale] vedere i nostri compagni morti e [poi] [...] abbandonati sulla strada. Sembrava [originale: sembravo] quasi che non mi scorresse più il sangue nelle vene a vedere quella morte.
Giovedì notte. Sempre in cammino. Si infuria un temporale: acqua a volontà. Siamo tutti bagnati, pieni di fango e senza nessun rifugio per ripararci [ripararsi, nell' originale] dalla pioggia. Si tremava dal freddo, stanchi dai tanti chilometri che facciamo. Ci [originale: si] nutriamo dell'erba e [di] qualche patata - se si trova.
Gli abiti, con quel freddo, ce li siamo asciugati tenendoceli addosso [originale: siamo asciugati i panni tutti in dosso con la temperatura gelida]. Siamo tutto il giorno nel casolare di [originale: da un casolare da] un contadino tedesco [e] si discuteva con il cappellano e il tenente medico della nostra vita: "Che fine faremo?"
Da [originale: in] questo contadino c'erano due prigionieri russi i quali lavoravano la terra del contadino. Uno di essi si mise a discutere con alcuni dei nostri soldati che hanno combattuto sul fronte russo. Poi, nel [vederci] partire e salutarci, ci passò di nascosto qualche patata. Al nostro compagno, purtroppo, fu fatale per lui la sentinella delle SS. [Questa, infatti,] se ne accorse, ha preso la pistola e lo uccise. Poi ordinò all'altro russo di scavare una fossa e l'ha seppellito come un cane. Noi, vedendo quella morte, [come fecero] anche il cappellano e il tenente medico non avevamo [più] una goccia di sangue in corpo.
Quando eravamo in cammino di notte, [ci] siamo incontrati con i prigionieri russi con cui [originale: che] eravamo nello stesso campo di sterminio e [nell'originale: che] loro li portavano in una altra destinazione. [Ci] siamo riconosciuti, [ci] siamo salutati cordialmente e, di loro, non abbiamo [XL] saputo più nulla. Avranno fatto una brutta fine anche loro. I russi venivano sterminati [originale: li sterminavano] senza pietà.
Mattina di venerdì santo. Camminando tutta la notte, siamo tutti sfiniti, stanchi: non [ce] la facciamo più a stare in piedi. lo portavo quel crocifisso che era in baracca. (A noi [originale: con] lo portò un nostro prigioniero e che morì in questo campo.) Con il tenente medico e il cappellano, arrivò una sentinella delle SS [che] mi puntò una pistola allo stomaco. Mi disse di buttar via quella croce o mi uccide. [Al che, io] l'ho presa [e] la buttai nel bosco. Il cappellano, vedendo quel gesto, ha pianto.
Arrivò la mattina del sabato santo. [Siamo] ormai sfiniti dai tanti chilometri che abbiamo fatti a piedi, con i piedi gonfi per i [originale: dai] dolori. Eravamo circa [da] due anni senza scarpe: avevamo de[gl]i zoccoloni. Si dormiva per terra. Si attendeva la morte da un momento all'altro. La temperatura è gelida [e] siamo ancora bagnati dall'acqua che abbiamo preso in questi giorni. Non abbiamo indumenti per cambiarci [nell'originale: cambiarsi], [ma] solo que[gl]i stracci che avevamo indosso. In questo reparto in cui [originale: che] si lavorava, avevo [originale: aveva] il numero 120.
C'era la miniera dove andavano a lavorare quei poveri esseri umani sfiniti che erano nel campo di sterminio a una profondità di settecento metri. Scavavano del carbone e [del]la lignite [originale: legnite] per tutta la giornata. [Vi] erano dentro senza mangiare [neanche] quella porcheria [fatta con] dell'erba. Lavoravano anche di notte.
Di questi poveri prigionieri [provenienti] da tutte le nazioni non abbiamo saputo che fine hanno fatto. Non erano più in grado di vivere [e così] li avranno sterminati tutti.
[In] questa settimana di calvario, si vedevano gli aerei alleati americani e inglesi: bombardavano le città [XL] e il fronte tedesco in ritirata. Era la distruzione della Germania. Insieme con noi è rimasta una sentinella delle SS. Alcuni dei nostri prigionieri le [originale: gli] chiesero dove sono andati gli altri soldati delle SS.
Rispose [originale: risposero] che questi hanno buttato via la divisa da militare e son fuggiti in bicicletta. Il soldato tedesco ci informò che il capo campo Barnava, fascista, aveva detto al comandante delle SS di fucilarci tutti, mentre eravamo ancora al campo di concentramento. Ma il comandante SS aveva deciso che era meglio [...] condurci a Osnabruck, in una località dove esistevano i forni crematori.
Se si arrivava in quella località, al giorno di Pasqua, noi eravamo tutti morti. Siamo ancora al sabato santo.
Durante l'avanzata delle truppe alleate, avevano accerchiato la città assediandola e noi, finalmente, fummo liberati. Abbiamo fatti salti di gioia. Sembra un sogno, dopo quasi due anni di campo dì sterminio [e] di quello che abbiamo sofferto.
Il nostro calvario da prigioniero è finito. La nostra colonna è sfasciata e noi eravamo sbandati. Del cappellano e [del] tenente medico non abbiamo saputo di loro, che fine hanno fatto. Sulle [originale: dalle] case dei contadini sventolavano delle bandiere bianche. [G]li dico ai miei compagni: "Questi son segnali della resa, [della] capitolazione della Germania.
Viene sera: andiamo dai contadini a chiedere da mangiare e dormire. Ci rifiutano.
Girando, troviamo questo bravo contadino che ci ospitò. Siamo in cinque [e] vuol sapere chi siamo. Abbiamo risposto che siamo prigionieri italiani. [G]li spieghiamo [come] da tutta la [XLll] settimana [siamo] senza mangiare [neanche] quell'erba e quel pezzo di pane nero, [e come siamo] stanchi dei tanti chilometri che abbiamo fatto a piedi e [come] siamo sporchi di [dal, nell'originale] fango e [come siamo] senza dormire. Abbiamo chiesto [quindi] da mangiare e [da] dormire.
Il contadino ce [lo] consentì: ci portò un secchio di carne di [originale: da] maiale e anche di sangue. Da tutta la settimana che digiunavamo, l'abbiamo divorato come lupi. Per [quanto riguarda il] dormire, ci fa vedere un porticato pieno di fieno. Viene la notte [e] andiamo a dormire senza nulla da coprirci [coprirsi, nell' originale).
La notte è fredda. Siamo coperti di stracci e di fieno. Domenica, giorno di Pasqua, [ci] siamo svegliati molto tardi. Il contadino preparò l'acqua calda da lavarsi.
Arrivò mezzogiorno. [Il contadino ci] dà tanto da mangiare. Quanto ben di Dio che ci ha dato! Siamo stati tutto il giorno con il contadino e [con] le sue figlie a discutere di quello che abbiamo sofferto nel campo di sterminio e [in] quello di concentramento.
Il giorno dopo era ancora festa: Sant'angelo. Gli chiedemmo se potevamo rimanere a casa sua a lavorare la terra nei campi e governare le bestie fino a quando gli alleati americani e inglesi avrebbero formato [originale: hanno formato] dei campi di raccolta dei prigionieri di [originale: da] tutte le nazioni. E lui acconsentì [originale: si consentì] di trattenerci.
Il giorno di martedì, mentre eravamo in campagna, a qualche chilometro da noi, c'è una strada statale [da cui] si sentiva [...] il rombo dei carri armati e [di] altri mezzi bellici. E [si sentivano] gli aerei alleati che bombardavano e mitragliavano il fronte tedesco in ritirata. In questa zona [av]vistammo una colonna di carri armati e automezzi con la stella. Informai i compagni che quelli sono americani. Facemmo salti di gioia [XLIII] ed [eravamo] contenti di essere [originale: che siamo] stati liberati dagli alleati. Per noi, il calvario da prigioniero è finito.
Passarono alcuni giorni [dopo] che son passati gli americani [e] il contadino ci avvisò che nella zona c'era una pattuglia di SS, una decina [di uomini] armati fino ai denti. Erano sbandati. Il contadino ci avvisò subito. Ci nascondemmo nel fienile. Se ci avessero scoperti, per noi cinque era finita: ci uccidevano tutti.
Abbiamo avuta tanta paura anche per il contadino. Anche lui avrebbe passato dei guai per averci ospitato [originale: il contadino passava dei guai che ci ospitò].
Erano passati quindici giorni da quando [originale: in cui] il contadino ci ospitò.
Una sera accusai un forte dolore allo stomaco. Mi sentivo da morire. Il giorno dopo, il contadino ci informò che a due chilometri si trova un ospedale tedesco.
Fui accompagnato dai miei compagni. Appena arrivato, un dottore mi visitò.
Mi chiese cosa si mangiava durante la prigionia. Risposi: "Erba da campagna e un pezzo di pane. E al campo si rubava. In una cantina, c'erano delle botti di cipolle sottaceto [tanto che, se mangiate,] lo stomaco e gli intestini si ammalavano e facevano [originale: andavano] male dal bruciore". [I guai per il mio stomaco non più allenato al cibo si erano persino accentuati, ora,] trovandomi dal contadino dove da [che in, nell'originale] poco tempo avevo la possibilità di mangiare cibi migliori, [come] carne, latte [e] pane. Il dottore mi fece capire che, a causa della cattiva alimentazione durante la prigionia, gli intestini si erano ristretti.
Mi raccomandò, [allora,] di mangiare poco fin quando essi non sarebbero tornati normali [originale: sono ritornati normali]. Mi ha dato una cura di pastiglie. Andai in farmacia. Ho la cura [e,] in poco tempo, il male di stomaco mi passò. Il contadino ci informò che Hitler, capo del governo, dichiarò al suo popolo tedesco che quelli che danno ospitalità ai [XLIV] prigionieri di [originale: da] tutte le nazioni, se [glie]li trovano in casa, passano dei guaI.
Questo contadino, così ha detto, [ovvero] che lui era un sovversivo antinazista [e] contro la guerra.
Un giorno, si presentò a casa del contadino un ufficiale americano, il quale aveva il compito di radunare i prigionieri di [da, nell'originale] tutte le nazioni. Ci informò che dovevamo recarci nei campi di raccolta allestiti nel paese vicino, [cioè] a Mtinster, che distava [originale: era a] molti chilometri dal posto che eravamo.
Alla mattina, abbiamo ringraziato il contadino e i suoi famigliari per la sua generosità che ci ospitò. Prima di partire, ci rifornì di pane e salame: gli è molto dispiaciuto che [noi] si doveva partire. Partimmo a piedi. Dopo una giornata di cammino, stanchi dei [dai, in originale] chilometri che abbiamo fatto, è sera.
Fummo [di nuovo] ospitati da un altro contadino [cui] abbiamo chiesto di [da, nell'originale] dormire. [E lui ci fece dormire in una stalla sulla paglia.
La notte è fredda, nulla per coprirsi. Ci [originale: si] svegliamo di mattina presto [e,] senza mangiare nulla, dopo partimmo. Durante il viaggio sulla strada statale [vedemmo che] passava l'avanzata alleata - americani e inglesi. Noi, contenti, li salutavamo. [Loro] buttavano via tante scatole sulla strada piene di biscotti.
Noi [...] è da tanti giorni che digiunavamo. [E così,] trovando quel ben di Dio dopo due anni, abbiamo avuto la soddisfazione di mangiare qualcosa di buono e [ci] siamo sfamati. Sembrava caduta la manna dal cielo. Era ormai sera inoltrata, quando raggiungemmo il campo di raccolta, stanchi dei [originale: dai] tanti chilometri che abbiamo fatto. [Ma,] senza una cartina geografica, si andava alla cieca e sfiniti dalla fame e dalla sete. Fortuna [volle] che il tempo in questi giorni fu bello [XLV]. [Sì, perché] se pioveva ancora, come [ne]i giorni passati, [noi] tutti bagnati saremmo morti [originale: si moriva] di polmonite.
In questo campo trovammo altri nostri prigionieri. Eravamo un migliaio, governati dagli americani. Finalmente possiamo dire che siamo liberi. Per noi, il calvario è finito. Trovammo tanti nostri compagni con cui [originale: che] eravamo nello stesso campo di concentramento. [G]li chiedevamo da mangiare e una coperta per dormire e coprirsi per la notte. [Qui] si dorme sui castelli di legno con la paglia: come bestie. [Per] tutto il tempo della [dalla, nell'originale] prigionia, abbiamo sempre dormito vestiti per il freddo e non avevamo nessun indumento di ricambio.
Non avendo biancheria per cambiarmi - per [originale: da]tutto il tempo della prigionia - ora che siamo liberi, durante il giorno, si andava in giro dai contadini e [g]li rubavamo la biancheria distesa che lasciavano a[d]asciugare: camicie e tutto quello che si trovava. Ora abbiamo finito [nell'originale: è finita] di aver paura di essere portati nei campi di sterminio. In questo [nostro] campo, di notte, insieme ai miei compagni andavamo in aperta campagna [e] portavamo via ai contadini le bestie che lasciavano libere nei prati a pascolare [originale: che pascolavano].
Dopo averle uccise, le portavamo al campo e, finalmente, mangiavamo la carne che non assaggiavamo da due anni. Quando mi hanno fatto prigioniero, pesavo ottanta chili. Durante la prigionia ero ridotto a 60 chili.
Quando siamo stati liberati [e] mangiando quel ben di Dio, in tre mesi ho recuperato quei venti chili di carne che avevo perduto.
Gli americani, quando hanno liberato noi prigionieri [...] di [originale: da] tutte le nazioni, constatarono le condizioni malsane e antigieniche dei [dai, nell'originale] campi di concentramento e di sterminio; trovarono [XLVI] molti prigionieri sfiniti dalla fame, dal deperimento organico [e] da malattie infettive [come] la tubercolosi. I nostri prigionieri ammalati furono rimpatriati tramite la Croce Rossa Internazionale con aerei e treni speciali.
Gli americani distribuirono le cartoline per scrivere a casa. Erano ormai tre mesi che non davo più notizie ai miei genitori [com]e io non [ne] ricevevo da loro. [Volevo scrivere] per far sapere che siamo stati liberati dagli americani [e che] siamo in attesa di essere rimpatriati al più presto possibile. Siamo [sempre] in zona di guerra: i tedeschi battono in [originale: la] ritirata [e] distruggono tutto.
Gli americani e [gli] inglesi avanzano con forza preponderante: aerei [e] carri armati bombardano il fronte in questa zona. Tutto è distrutto: ponti, case e città.
Un nostro prigioniero che lavorava la terra presso un contadino, era venuto a sapere che, dentro una buca scavata da una bomba sganciata da un aereo americano - fortezze volanti - il contadino [dunque] aveva nascosto due casse piene di salami. [Credendoci,] io e [alcuni miei] compagni, una notte [ci] siamo recati sul posto [della buca scavata dalla bomba].
Lì, rimuovendo la terra [originale: erano ricoperti con la terra], abbiamo scoperte le casse. Prelevammo tutto quello che c'era dentro: prosciutti, pancetta e altri salumi. Avevamo la soddisfazione, dopo due anni, di mangiare qualcosa di buono.
In stalla, prendemmo anche due vitelli. Li portammo al campo [dove] li abbiamo uccisi. Per tanto tempo, si mangiava carne a volontà.
Prelevando le bestie ai tedeschi, in qualche modo [ci] siamo vendicati anche noi delle [dalle, nell'originale] sofferenze della [originale: dalla] fame che abbiamo sofferto da quando eravamo al campo di concentramento delle [dalle, nell'originale] SS.
Erano passati due mesi in questa zona, dal giorno che eravamo [XLVII] liberati. Trascorrevamo le giornate spensierate e allegramente. I nostri compagni avevano costruito una pista da ballo in legno. Alla sera, veniva una signorina tedesca che suonava la fisarmonica con la sua orchestra. Si ballava fino a ora tarda. [Alcuni] nostri compagni avevano formato [originale: dato] una compagnia teatrale e facevano rappresentazioni in questo campo.
Intanto, le giornate erano sempre lunghe, rimanendo [originale: essere] in attesa di essere rimpatriati. In giornata, andavamo in campagna dai contadini e chiedevamo [loro] le uova. lo, in una settimana, ne bevvi circa una ventina.
Nei prati, c'erano le galline: noi, a colpi di bastone, le uccidemmo, le portammo al campo e le mangiavamo in compagnia. Ormai, la paura era passata di portarci al campo di sterminio. Erano i tedeschi, [adesso,] ad aver paura di noi. Grazie al [originale: per il] mangiare, [ci] siamo rimessi tutti bene.
In questa zona, passa un grande canale navigabile. Tutti i ponti erano distrutti dai tedeschi in ritirata e dai bombardamenti alleati americani.
Nei pressi di questo campo, passa la ferrovia e, su un binario fermo, c'era un treno ospedale della Croce Rossa, su cui erano ricoverati i militari tedeschi feriti e mutilati che hanno combattuto sul fronte [e] assistiti dai dottori e [dagli] infermieri.
Alcuni di questi infermieri, quando ci vedevano a passare, ci gridarono: "Italiani badogliani, kaputt! Traditori della Germania!" Un giorno, stanchi di essere offesi - eravamo una trentina armati di bastoni - ci presentammo davanti al treno-ospedale [e] chiedemmo ai dottori di [fare] uscire coloro i quali [XLVIII] [...] ci insultavano.
Ma i dottori si risposero che avevano già pensato loro a punirli.
Ma noi, naturalmente, non gli credemmo e, [anzi, li] minacciammo di dare l'assalto al treno, in caso di mancata consegna dei responsabili [originale: minacciammo che se non li consegnano daremo l'assalto al treno]. Il dottore, intimidito, chiamò i colpevoli. [Così] noi, infuriati a causa delle umiliazioni subite durante i due anni di prigionia e le torture che abbiamo subito, li abbiamo presi e li bastonammo a sangue. [Ci] siamo vendicati anche noi.
Un giorno, nella [originale: in una] fattoria di un contadino dove andavamo a prendere le uova, c'erano dei soldati tedeschi sbandati che aspettavano anche loro che finisse la guerra, per ritornare a casa. Avevano buttato via tutte le armi.
Due dei nostri compagni andarono a prendere le uova, mentre noi ci [originale: si] nascondemmo dietro la fattoria per vedere cosa avrebbero subito [originale: subirono] i nostri compagni.
I soldati tedeschi, impauriti, minacciarono i nostri con badili e forche.
Un nostro compagno aveva una tromba di musica: ha dato de[gl]i squilli [che equivalevano a un segnale di aiuto].
A quel punto, uscimmo allo scoperto. Eravamo ancora in una trentina, armati di bastoni: li picchiammo così come [loro] avevano fatto su [di] noi, quando eravamo al campo di concentramento.
Venivano in questo [nostro] campo di raccolta delle donne tedesche che avevano perso i mariti sui fronti in combattimento. Così dicevano loro. Queste, non avendo né da mangiare, [n]é altro [...] - hanno perso tutto, [anche] la casa -, noi, impietositi, passammo loro quello che ci davano gli americani e quello che portavamo via ai contadini.
Un giorno, insieme ai nostri compagni, dopo due anni senza mangiare la frutta, stavamo raccogliendo [direttamente] dalle [originale: sulle] piante della [XLIX] frutta nella proprietà di un contadino. Questo arrivò all'improvviso, accompagnato da alcuni soldati tedeschi sbandati che abitavano in casa sua. Essi erano armati di bastoni, mentre noi eravamo armati di baionette che [i soldati tedeschi] hanno abbandonato durante la ritirata.
Alla vista delle nostre armi scapparono. Così noi riempimmo i sacchi di frutta e li portammo al campo anche per i nostri compagni. Ormai i tedeschi avevano finito di comandare. Noi, prigionieri, eravamo liberi [dal]la paura di finire nei campi di sterminio dove [originale; come] abbiamo visto i nostri prigionieri che non ritornano più.
[In] questa cittadina dove eravamo, esistevano poche case; era tutta distrutta dai bombardamenti. Non avendo notizie da casa mia e dall'Italia, pensavamo che anch'esse, le [nostre] città e [i nostri] paesi fossero stati distrutti dai bombardamenti degli alleati americani e inglesi, e dalla ritirata dei [originale: dai] tedeschi.
[Dei] nostri compagni del nostro campo dove eravamo - [era il campo] di concentramento numero 1420 - vennero a sapere dove era nascosto il capo campo, quel fascista Barnava, insieme a [originale: e] un altro nostro prigioniero, un napoletano [che] si chiamava Di Manna.
[Questi] era un fascista e faceva la spia contro di noi. [Allor]ché si parlava di politica, lui [g]li dava i nomi nominativi al capo campo Barnava e [al] comandante delle SS.
Un giorno arrivò un camion con i soldati delle SS. Prelevarono una ventina dei nostri prigionieri e li portarono nei campi di tortura e furono mandati nei forni crematori. E lì son tutti morti.
I nostri compagni, sapendo [L] dove [Barnava] era nascosto, hanno fatto tanti chilometri a piedi, [e] sono arrivati a casa sua. [E lì,] sommersi dall'odio e dalla rabbia per [originale: di] quello che [tutti noi] abbiamo passato - sofferenze e torture in due anni - [...] hanno prelevato il fascista Barnava e, [insieme a lui,] Di Manna.
[Loro due] imploravano pietà e perdono per quello che avevano fatto su noi prigionieri. Dicevano che eseguivano gli ordini del [originale: dal] comandante delle SS, ma i nostri compagni, non avendo pietà e perdono per quello che hanno fatto su noi, li hanno prelevati da casa [e] li hanno puniti a sangue.
E, quella, fu stata [la causa del]la loro [originale: sua] fine di vivere.
In questa zona, c'era un campo di raccolta come [da] noi. [Lì,] prigionieri russi e civili, alla mattina si andavano dal contadino a prendere il latte per fare colazione.
Per combinazione, [ci] siamo trovati con diverse donne russe che, durante la guerra in Russia, dicevano che i nostri soldati erano forniti [originale: governati] male quanto a [originale: come] indumenti e morivano assiderati dal freddo.
Una [originale: questa] signorina parlava bene la nostra lingua italiana.
Durante la guerra, salvò tanti nostri soldati nella [originale: dalla] ritirata.
Sapeva il nome di tanti nostri soldati. Lei era di Stalingrado [e] spiegava che hanno combattuto anche le donne, per ricacciare i tedeschi dalla Russia.
E fu fatta prigioniera anche lei e fu portata in Germania a lavorare in fabbrica.
All'inizio della guerra, in Russia, con tante divisioni di nostri soldati che combattevano sui fronti, hanno lasciato la loro vita fino alla disfatta della guerra 1940-1945 più di ottantamila caduti che non ritornano più.
Anche nei Balcani, Grecia, Albania, Montenegro [LI], Jugoslavia [e] l'isola di Rodi, dopo l'otto settembre 1943, i tedeschi, come disarmavano i nostri soldati con le mitraglie, uccidevano tutti i nostri soldati che [...] facevano prigionieri. [Appartenenti alle] tante nostre divisioni che erano in quelle nazioni, di [originale: da] undicimila soldati [se ne] son salvati pochi.
Così, [almeno,] dicevano i nostri soldati che erano al campo con noi. Per il resto [originale: poi], parla la storia di questa guerra.
Finalmente, un giorno, gli ufficiali americani ci annunciarono che sarem[m]o [stati] trasferiti in un altro campo di raccolta. Per fare un convoglio di 1500 di noi prigionieri, ci caricano sui camion. Dopo tanti chilometri, arrivammo a Bochum, [ovvero] in una città [a metà strada tra Essen e Dortmund] tutta distrutta dai bombardamenti.
A un paio di chilometri si trova questo [nuovo] campo [ormai fortunatamente non più] di sterminio. Era in una zona deserta, molto grande, recintato con filo spinato. [E, in] quello in mezzo c'era la corrente elettrica.
Quando c'erano i prigionieri di [originale: da] tutte le nazioni, se uno avesse tentato di scappare [originale: se uno scappasse], [si] sarebbe [originale: rimaneva] fulminato. Le baracche erano di legno, ma le celle d[elle] punizioni [e delle] torture erano fatte di muro, larghe tre metri [e] lunghe due metri.
E [avevano] una piccola finestrella per ricevere un pò d'aria.
In questo campo erano passati milioni di prigionieri di [originale: da] tutte le nazioni. [I] cui nomi erano ancora scritti sui muri delle celle e nelle baracche. Italiani, russi, polacchi, rumeni, jugoslavi, francesi e persino americani e inglesi, [nevvero] questi poveri prigionieri li hanno sterminati tutti.
Mentre eravamo in questo campo, andai a Bochum, sempre a piedi, in compagnia con i nostri compagni. [Lì] siamo andati al cimitero e, fra tanti nostri soldati morti, trovai la tomba [LII] del nostro compagno di baracca. Si chiamava Cressati. Era di Udine. Sulle tombe avevano messo delle croci di legno, [ciascuna] con [riportato] il suo nome. I prigionieri russi morti venivano seppelliti in un bosco fuori del [originale: dal] campo. I russi, dopo essere stati liberati anche loro dagli americani e [dagli] inglesi, costruirono in mattoni un monumento [su] cui issarono la loro [originale: sua] bandiera rossa ornata di un drappo nero, in segno di lutto.
Ricordano, [così,] i loro [originale: suoi] compagni caduti nei campi di sterminio.
In questo campo, passava un grosso tubo di benzina degli [originale: dagli] americani per rifornire l'avanzata e tutti i mezzi bellici - carri armati, camion, aerei.
Noi prigionieri italiani ci facevano lavorare a riempire di benzina dei contenitori di plastica. Li caricavamo sui camion che servivano per rifornire l'avanzata.
Durante la ritirata, i tedeschi, per ostacolare l'avanzata anglo-americana, facevano saltare tutti i ponti sui fiumi e distruggevano tutto. [E gli] aerei americani e inglesi (fortezze volanti) sganciavano sul fronte tonnellate di bombe.
Era un finimondo: se non c'erano queste distruzioni sulla Germania, la guerra continuava ancora per molti anni.
In questo campo di raccolta, per combinazione, [ci] siamo trovati con parecchi civili italiani fascisti che erano con noi in quella grande fabbrica a lavorare.
[Lì, allora] ci maltrattavano e ci insultavano [Arrivavano al punto che] prendevano del [loro] pane [e,] pur di [originale: per] non darlo a noi che lo chiedevamo - [per]ché si moriva di fame -, lo mettevano sotto i piedi e lo calpestavano e ci sfottevano [e] ci 'dicevano a noi: "Badogliani, andate in Italia a combattere !"
[A] noi ci venivano le lacrime agli occhi [LIII] a vedere quei traditori. [Al che, ci] siamo vendicati anche noi [e] li abbiamo calpestati. E' venuto [allora] il comandante americano, li ha [originale: hanno] presi, li ha [originale: hanno] portati via e, di loro, non abbiamo saputo più nulla [di] che fine hanno fatto.
E' arrivato il nostro giorno: gli americani e [gli] inglesi ci radunano, [noi] millecinquecento prigionieri, per formare un convoglio per essere rimpatriati in Italia.
Quel giorno facemmo salti di gioia. Fummo caricati sui camion e ci [...] portano alla stazione di Bochum. Nei magazzini della stazione trovammo della vernice e, sui vagoni, scrivemmo la prima parola: "Mamma ritorno". Tanti [di noi] scrissero [originale: scrisse] il nome della moglie e dei figli. E abbiamo scritto: "Viva l'Italia libera, viva Badoglio, viva noi prigionieri liberi".
I vagoni erano avvolti dal tricolore e abbiamo tante bandiere.
Noi eravamo contenti che la guerra era finita, con tutto quello che abbiamo passato in questi duri anni: [le] umiliazioni, [il] soffrire fame e malattie, [l'essere] privi di tutto... La prigionia sotto i tedeschi era brutta e senza [originale: non con] la speranza di ritornare a casa [e, lì, raccontare] di quello che abbiamo passato.
Non scorderò più di quello che ho sofferto fin quando vivrò.
Finalmente un lungo fischio lacerò [l'aria] e il treno si mosse.
Partimmo. Eravamo tutti commossi. Sembrava un sogno. Avevamo le lacrime agli occhi. Per l'ultima volta ci voltammo a guardare quella terra maledetta in cui lasciammo trentamila prigionieri morti che non ritornano più. Gli ottocento ufficiali che erano con noi furono deportati nei campi di sterminio in Polonia. Furono sterminati. Tutti morti. Con noi, c'era un solo ufficiale dell'esercito. Era conciato male di salute. Era [stato] in Albania: ha [LIV] combattuto fino all'ultimo.
Il suo reggimento è stato distrutto. Quei pochi soldati furono fatti anche loro prigionieri e deportati in Germania, nei Lager, campi di concentramento.
Dopo due giorni di viaggio di ferrovia, eravamo un pò [s]tremati dalla fame - [sì,] perché gli inglesi non davano nulla da mangiare. Arrivammo [così] vicino ai confini con la Svizzera, dove sono accampati i soldati inglesi. E' quasi sera; ci fecero scendere dal treno. Ci danno quel poco da mangiare. Ci fanno dormire sotto le tende da campo [ma] senza nulla da coprirci [originale: coprirsi].
La notte è fredda. Si dorme sulle brande. Alla mattina, sveglia! Ci [originale: si] troviamo vicino al lago di Costanza. La giornata è splendida e, finalmente, facemmo il bagno.
Si riprende il viaggio, sempre in treno. Si passa dalla Svizzera. Quando entrammo nelle stazioni, fummo accolti festosamente dalla popolazione che ci davano da mangiare e [da] bere, e sigarette. Ci sventolavano delle bandiere e ci salutavano con tanta gioia. E, noi, tutti contenti, dopo due anni di prigionia, [di essere lì,] a vedere tanta gente a farci festa. Noi, sempre con gli occhi in lacrime [per]ché non avevamo più la speranza di ritornare in Italia e a casa [a motivo] di tutto quello che abbiamo sofferto.
Arrivammo in Italia, a Ponte Chiasso.
Vengono con i camion a prenderci. Ci accompagnano in caserma a Como.
Quanta gente che son venuti a salutarci e [a] chiedere notizie dei loro cari prigionieri, se li abbiamo visti nei campi di concentramento, perché non sapevano più notizie di loro.
In caserma, fummo sottoposti a visita medica. Tanti vennero ricoverati a causa del deperimento organico [LII] e [di] altre malattie infettive.
In ospedale a Corno, [quei soldati apparivano quello che davvero] erano: de[g]li scheletri. Quasi tutti noi eravamo mal ridotti per i panni vestiti alla meglio: due anni senza cambiarsi.
E le scarpe? Le ho rubate a un soldato tedesco.
Da giorni senza mangiare. In caserma non danno nulla. Hanno dato i soldi per il viaggio da Corno a Milano. Danno trecento lire.
Siamo usciti dalla caserma. Siamo andati in una trattoria. Abbiamo mangiato dei panini e bevuto del vino che era da due anni che non si assaggiava.
Si prende il treno. da Corno [a] Milano. Siamo una ventina di noi prigionieri tutti delle [originale: dalle] nostre parti. Eravamo sul treno [quando] arrivò il bigliettaio.
Ci chiese il biglietto. Dapprima lo guardammo increduli e poi [ci] siamo adirati e gli abbiamo detto: "Non si vergogna a chiedere il biglietto a noi prigionieri che rientriamo dalla Germania, senza una lira in tasca?". [G]li abbiamo detto di andar via: "[Se no] la buttiamo giù dal treno!".
Si arriva alla stazione Centrale [di Milano] che era già buio.
Siamo stanchi per il [originale: dal] lungo viaggio, senza mangiare, [senza] dormire e sporchi. Si legge che c'è un ristoro per i prigionieri di guerra. [Ci] siamo presentati ai militari [che] ci conducono in un locale. [Lì] danno da mangiare e bere e da dormire.
Consumato il pasto, fra noi prigionieri [ci] siamo abbracciati [...] contenti. E ognuno ha preso il treno. E ognuno ha preso la strada del ritorno a casa sua. [Ci] siamo salutati cordialmente e contenti e con il pianto perché sembrava un sogno.
[Quando eravamo ancora alla centrale,] i militari ci condussero in un locale della stazione dove erano allestite delle brande per dormire. Alla parete di questo locale, [LVI] era appeso un grande quadro di fotografie dei nostri prigionieri e dispersi, [come a chiederci] se li abbiamo visti nei campi di concentramento.
C'era un avviso: [in caso] di [riconoscimento], rivolgersi al comitato dei prigionieri, perché le loro famiglie non sapevano più notizie di loro.
Riconobbi la foto del [originale: dal] mio amico prigioniero con cui ero [originale: che eravamo] al campo di sterminio 1420: Ronzio Carlo, di Vittuone.
Appena ritornato a casa, sono andato a casa sua, dai suoi genitori.
Era già ritornato anche lui. [Ci] siamo trovati con le lacrime agli occhi e contenti che siamo ritornati a casa, pensando [a] quei due anni che abbiamo passato nelle stesso campo.
[Un passo indietro. Ero, dunque alla stazione Centrale e lì] passo la notte al ristoro.
Alla mattina, prendo il treno per Legnano. Arrivo alla stazione. Ero conciato male: per via [della condizione pietosa] dei panni, sembravo un barbone.
In testa, avevo un cappello d'alpino, ricordo di un amico morto nel campo di sterminio. Sul cappello avevo scritto: "Mamma ritorno".
In stazione, la gente mi chiedevano da dove venivo. Rispondevo: "Dalla prigionia in Germania". Sono a piedi. Presi la strada per Dairago. Mi fermai nei campi e raccolsi un pò d'uva che non la mangiavo da due anni.
Tanti concittadini andavano al lavoro a Legnano.
Mi salutavano e io, con entusiasmo e contento, contraccambiavo i loro [originale: suoi] saluti.
Arrivato al cimitero, mi feci il segno della croce per salutare i nostri morti. In quel momento, arrivò un amico compaesano ancora in vita [e] che andava al lavoro.
Si chiama Olgiati Pasquale. [Questi,] contento di vedermi, gridò: "Carlo, vado a casa tua ad avvisare i tuoi genitori che sei ritornato dalla [LVII] prigionia".
Davanti a casa mia, c'era tanta gente ad accogliermi. Mi chiedevano della mia vita da prigioniero [e] di quello che abbiamo passato.
Vidi mia madre in lacrime. Era sei mesi che non sapeva più notizie, se ero vivo o morto.
Trovandomi a casa, le [originale: gli] sembrava un sogno.
Mio padre era andato al lavoro. Fu una grande gioia [per lui], alla sera, trovarmi a casa [originale: trovandomi]. [A] mio padre, nella prima guerra mondiale 1915-18, è morto un fratello al fronte combattendo.
Viene mia zia. Trovandomi a casa, piangendo, mi disse: "Tu sei ritornato dalla prigionia, invece mio figlio, tuo cugino Gerolamo, è morto in prigionia in Germania, campo di sterminio, lager XI B.
Chissà che morte ha fatto...". [Quale morte?] Come [quella che] ho visto [riservata a]i nostri compagni del campo di sterminio 1420.

Una riflessione Grazie agli americani e [agli] inglesi e [a quelli di] altre nazioni che vissero questa disastrosa guerra. Perché, se l'avesse vinta [originale: avessero] la Germania, l'Italia sarebbe diventata una colonia per i tedeschi. I fascisti erano anche loro i suoi schiavi. [Fosse finita diversamente,] noi prigionieri non si sarebbe più ritornati [originale: ritornava] in Italia. [E così,] noi [saremmo rimasti lassù, a] lavorare come schiavi in più campi di sterminio. E avremmo conosciuta la stessa sorte toccata [originale: come abbiamo lasciati i] ai nostri compagni che non ritornano più, che son morti. Loro, i [ma l'originale ha noi] prigionieri infelici finiti nei Lager tedeschi hanno dato molto spesso la loro vita senza avere in cambio nulla.
Bisogna [da parte di noi prigionieri, ricordarlo. Bisogna] avere il coraggio di dirlo, senza nemmeno [pensare di] ottenere la riconoscenza della Patria.

La consegna
Questo è un riassunto di quello che ho dovuto subire in quei due anni [LVIII] di prigionia. Ho voluto scrivere questa testimonianza affinché i miei figli e [i miei] nipoti sappiano apprezzare quanto costa la libertà.

Appendice 1
[Pagina LVIII, dalla riga numero 7] Noi prigionieri che si moriva nei campi di sterminio in Germania.
In Italia - giorno 8 settembre 1943 fino al giorno 25 aprile 1945 - abbiamo avuto la guerra civile.

[I] nostri partigiani valorosi combattevano contro la repubblica [di Salò]. Contro i fascisti e [i] tedeschi, tanti partigiani hanno dato la loro vita per la liberazione della [originale: alla] patria. La morte. A Dairago, [a] un nostro concittadino, Colombo Fortunato, classe 1910, vent'anni [nel] 1930, arriva la cartolina di leva. [Così], parte per la vita militare. [E'] il primo marinaio del [originale: dal] paese. Destinazione marina. [A] La Spezia viene imbarcato su una nave, [la] Teseo. Erano in missione in alto mare. C'era il mare in burrasca. Le onde [erano] alte e la nave affondò. Non si salvò nessuno. Il povero Fortunato è rimasto in mare. Fu disperso. Una comitiva sportiva del [originale: dal] paese ha [originale: hanno] fatto una gita a Genova. Sono andati sul mare [e] hanno deposto una corona di fiori in segno di lutto. La sezione dei combattenti doveva [originale: dovevano] mettere una foto sul monumento dei caduti in guerra. Ha dato anche lui la vita alla patria.

Appendice 2
[LVIII bis] Questi sono i nomi dei miei compagni di prigionia [al] campo di sterminio 1420 Westfalia:

Carabelli Pierino classe 1922
Rabbuffetti Enrico classe 1908 di Solbiate Arno prov[inci]a Varese
Crespi Enrico classe 1913 Inveruno
Bellani Abele classe 1924 Inveruno
Bandera Andrea classe 1924 Inveruno
Garavaglia Luigi classe 1918 Inveruno
Milani Giuseppe classe 1920 Legnano
Mazzucchelli Pietro classe 1920 Busto Arsizio reduce dalla Russia
Sangalli Luigi classe 1922 Magenta
Barenghi Carlo classe 1922 Magenta
Garavaglia Mario classe 1923 Bernate Ticino
Ronzio Carlo classe 1921 Vittuone
Frontini classe 1923 Prospiano (Gorla Minore)
Zucchini Vittorio classe 1915 San Vittore Olona
Sassi Riccardo classe 1913 Ganna Varese partigiano
Gianelli Fiorino classe 1919 Buscate
Boccaccio Mario classe 1915 Roma
Saviotti Remo classe 1918 Reggio Emilia
Cardanelli Gino classe 1920 Reggio Emilia
Tomasoni Mario classe 1912 Milano
Canavesi Franco classe 1921 San Giorgio Legnano
Cozzi Mario classe 1913 Cerro Maggiore
Brusegan Antonio classe 1908 Campognara provincia di Venezia morto nel nostro campo
Vignati Bruno classe 1917 Canegrate morto nel nostro campo di sterminio
Cressati Ugo classe 1915 Udine morto nel campo di sterminio 1420 Bochum.
Zuffinetti Mario, marinaio imbarcato sulla nave Fiume. Andando in combattimento affondò. Lui [è] morto in mare.
Ricordo dei tanti nostri compagni prigionieri morti in questo campo.
Non li scorderò più fin quando vivrò.

Appendice 3
[LVIII ter] Questi sono i nomi che comandavano la batteria contraerea all'isola Palmaria Torre Umberto I, vicino Portovenere, La Spezia:
capitano di marina Alessandro Podestà;
maggiore d'artiglieria Aldo Pellegrino;
capitano di marina Walter Cacciatore, comandante la batteria contraerea.
Questi sono i marinai:
Abbate Mario
Gambardella Giovanni
Sannino Vincenzo
Senarcia Agostino sergente
Pasqualin Luigi sergente
Magnin Mario, capo cannoniere
maresciallo Fezzoni
Schiavi Giovanni
Ferrera Giuseppe
Noferi Ugo
Tomadini Carlo
Damonte Giobatta
Boda Remo
Terranio Luigi
De Martino Vincenzo
 Ghio Franco
Viacava Amedeo
Gadaletta Franco
Purita Armando
Cerri Armando
Roncati Bruno
Magna Paolo
Wergnier Bruno
maresciallo Locati Mario
Guadarella Franco
Conoscendo tanti marinai che erano imbarcati su navi da guerra, [so che,] combattendo sul mare, [sono] dispersi. Son morti.

Appendice 4
[LIX] Noi prigionieri che si moriva nei campi di sterminio, nei Lager e [nei] crematori. Mussolini, dopo la disfatta della guerra [dal] 1943 al 1945, formò l'esercito della repubblica [composto da] cinque battaglioni: il [originale: la] Monte Rosa, il Littorio, la Folgore, la Decima Mas e [quello de]i fascisti [che] erano in Germania per l'addestramento.
Mussolini non è andato a visitare i campi di sterminio [e a vedere] come eravamo conciati nelle fabbriche e [nelle] miniere [dove si stava a] lavorare giorno e notte, [a] mangiare una volta al giorno, [alla] sera, erba di [originale: da] campagna; e [a vedere] come si viveva, [ovvero] peggio delle bestie. Ha fatto una brutta fine anche lui. La meritava. Impiccagione.
Dalla fine di questa disastrosa guerra, son passati cinquantacinque anni, [ma] non posso dimenticare quei due anni di prigionia [e] di quello che ho passato e vissuto nel campo di sterminio.

Appendice 5
[LIX bis] In questa stazione radio [ovvero la R.T.Santarosa, non distante da Roma dove il Battaglione San Marco, nel settembre 1942 ricevette ordine di trasferirsi],
bo trovato un nostro concittadino che lavorava per una ditta da Milano.
L'operaio si chiamava Colombo Pietro. Era della classe 1911. Abitava a Roma.
Ora, dato che da noi marinai il cibo non mancava, io ero riuscito a trattenerlo al rancio con me e lo rifornivo di pane [originale: noi marinai avendo tanto da mangiare lo trattenevo al rancio etc.].
Ma [originale: e] di lui non ho saputo più nulla, perché a Roma c'era già la guerra contro i tedeschi e [i] fascisti. [In servizio presso il] [originale: al] ministero della Guerra, a Roma, c'era un altro concittadino.
[...] Era in marina, volontario imbarcato su una nave da guerra, [la] Oriani.
Ebbe tante missioni di guerra. Era sergente infermiere.
Fu sbarcato dopo l' 8 settembre. Lui si arruolò nella repubblica di Salò.
Durante la libera uscita, andavo a Roma a trovarlo.
Si chiamava Barlocco Luigi. L'ho aiutato anche lui passandogli del pane [originale: per il pane].
Alla fine della guerra, abbiamo avuto la fortuna di trovarci a casa, ma di Colombo Pietro, [invece,] non abbiamo saputo nulla della [originale: dalla] sua fine che ha fatto.
Sarà morto sotto i bombardamenti. C'era la guerra...

Appendice 6 [pagina E]
Siamo nell'anno 1939, due anni prima di andare a militare.
Si doveva andare ad Arconate a fare il premilitare per ricevere [nell'originale: per fare] l'istruzione, per prepararci per la vita militare.
Il primo anno, 1939, sono andato, [ma] il secondo anno, 1940, non ho più partecipato. lo ero destinato in marina.
Nella [originale: la] ditta dove [originale: che] lavoravo, con me c'era un amico marinaio di Busto Arsizio, classe 1912.
Faceva l'istruttore agli allievi marinai. [Calcolato che come età potevo rientrare tra i suoi allievi,] mi sono messo d'accordo con lui - dopo avere ottenuto dalle autorità di poter fare il premilitare a Busto anziché ad Arconate [originale: io son messo d'accordo con lui facendo il trapasso da Arconate a Busto Arsizio].
In [originale: la] ditta, al sabato pomeriggio si lavorava in pieno. [Così, .io lavoravo] d'accordo con il mio amico che [, nelle esercitazioni premilitari,] mi faceva figurare [originale: mi teneva] sempre presente. [Certo che] se si accorgevano che non partecipavo alle [originale: agli] istruzioni, per me era brutta. [Ma] anche per lui [sarebbe finita male].
Siamo nel 1940: l'Italia entra in guerra. lo andavo sempre al lavoro. Si guadagnava soldi. lo odiavo la guerra. [Ricordo] che [già ne]i primi giorni di guerra sono arrivate le prime cartoline dei nostri concittadini caduti sui [vari] fronti.
[Per quanto mi riguarda, il mio trucchetto del premilitare fu spifferato.] Nel [originale: al] nostro paese [di Dairago, infatti, ci] sarà stato qualche spia che [segnalò il raggiro, e cioè che] non andavo a fare il premilitare. [Pertanto,] mi convocarono [originale: mi chiamò] il famoso podestà e un uomo della milizia fascista. [Lì] mi hanno fatto una morale: mi hanno detto che, non facendo [fare, nell'originale] il premilitare in tempo di guerra, io pass[av]o come disertore e, quindi, condannabile alla fucilazione [originale: e mi fucilarono].
Volevano denunciarmi al tribunale militare di Bologna. Quando sono ritornato dalla prigionia, li ho presi tutti e due. [Poi, però,] li ho compatiti: quei due fascisti mi hanno chiesto perdono.

Appendice 7
[Parafrasando PINA BALLARIO,L' erba cresce d'estate: storia della Repubblica dell'Ossola. - Firenze, Bemporad Marzocco 1963, p.5]
[LX] Ho scritto questa storia della mia prigionia per i ragazzi che non hanno vissuto quel periodo fosco e glorioso e che, quindi, non possono sapere in che modo l'odio scavò e sconvolse gli animi degl'italiani. [...]
Ho cercato di riprodurre con esattezza l'atmosfera di quei giorni, perché i giovani, leggendo, provino un senso di rivolta contro l'ingiustizia e il tradimento, la tirannia e la crudeltà.
Il mio libro non può avere altro scopo. [E] non certo quello di riaprire ferite e di riaccendere animosità.
Conceda Dio agli uomini di evitare ogni genere di guerra e di godere una lunga e feconda pace nella libertà e nel lavoro.