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I diari: Francesco Branca

Francesco Branca: quattro anni di prigionia in Siberia

"Radio Mosca messaggio - Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Ginevra 4/5/1945.
Gentile famiglia Branca.
La Croce Rossa Internazionale di Ginevra a Roma ci informa di comunicarvi che il giorno 24/3/1945 Radio Mosca ha trasmesso il seguente messaggio a voi diretto dal soldato Branca Francesco prigioniero in Russia.
Assicuro di godere ottima salute, ed invio saluti e baci affettuosi.
Vogliate gradire anche i nostri distinti saluti.
Comitato Internazionale della Croce Rossa dei prigionieri di guerra ".

Il racconto di Francesco Branca
1941, chiamato alle armi di leva presso il Distretto di Monza, subito destinato a Casale Monferrato in una caserma di smistamento, infatti sono stato assegnato al 1° Artiglieria d'Armata 24° Gruppo di stanza a Moncalvo, pochi giorni di caserma arrivò l'ordine di partenza per la Russia.
Si partiva con il nostro attrezzamento verso la città di ASTI per raggiungere la ferrovia e caricare tutto sul treno, e poi via verso il Brennero, prima di passare la frontiera c'erano delle piccole ITALIANE che distribuivano tre pere per ognuno di noi soldati, poi il treno partì passando attraverso l'AUSTRIA e la GERMANIA puntando verso la RUSSIA.
Arrivati a un certo punto si è dovuto cambiare il treno per la diversità di scartamento del binario, che era più grande del nostro.
Viaggiando notti e giorni siamo arrivati alla città di STALINGRADO, puntando poi verso la prima linea vicino al famoso fiume DON.
Abbiamo piazzato le batterie, che sono cannoni da 149/40 (in questi cannoni la lunghezza è 40 volte il diametro della canna).
Abbiamo passato parecchi giorni in mezzo ai campi di girasole, mentre nel periodo invernale si costruivano dei grandi buchi sotto terra, si coprivano di legname e di fogliame, le notti si passavano in queste buche.
Mentre i cannoni RUSSI sparavano verso di noi per distruggere le nostre batterie, con i nostri cannoni si rispondeva colpo su colpo, davanti a noi c'era la fanteria che teneva la prima linea, il nostro 24° gruppo era autonomo, perciò era chiamato dove era più urgente, infatti siamo stati richiesti di cambiare posizione con le batterie, mentre si viaggiava per raggiungere la nuova posizione abbiamo visto che la fanteria si ritirava e i carri armati russi avanzavano, vista la brutta situazione abbiamo iniziato la ritirata e siamo andati a finire in un paese chiamato Camnca.
La situazione peggiorò e i nostri ufficiali diedero l'ordine di abbandonare i nostri cannoni dopo avere tolto gli otturatori, infine diedero l'ordine «SI SALVI CHI PUO'».
Tutto questo è avvenuto dopo che i nostri comandanti sono stati avvertiti dal generale che eravamo CHIUSI da una grande sacca escogitata dai RUSSI e che non si poteva più uscire.
Questo è stato il giorno più sconvolgente che mi è rimasto impresso e che non dimenticherò mai, quando è stato lanciato il grido "Si salvi chi può" è successo il finimondo, gli automezzi della sussistenza hanno scaricato tutti i viveri in mezzo alla piazza, c'erano delle forme intere di formaggio che rotolavano, e bottiglie di cognac, ma nessuno più pensava a queste cose.
Il colpo ricevuto è stato molto forte, tutti si disperavano, gli ufficiali piangevano con il pensiero di non poter più ritornare in ITALIA, e pensando alle mogli e figli lasciati.
In quel periodo il comunismo era spietato ed era il nostro nemico, mentre noi eravamo tutti fascisti.
Tra di noi si discuteva su che cosa poteva succedere, avevamo lo stesso pensiero che prima o poi ci avrebbero uccisi tutti, tutto questo succedeva mentre per terra c'era mezzo metro di neve e ghiaccio, in queste condizioni abbiamo camminato per tre giorni e notti verso una possibile uscita da questa sacca, arrivati al limite della chiusura un comandante graduato sconosciuto si mise alla testa di tutti noi che eravamo diverse migliaia, questo sconosciuto suggeriva di aspettare la notte per tentare di uscire dalla sacca, abbiamo aspettato diverse ore ma prima che arrivasse la notte arrivò un carro armato russo che sparò con la mitraglia sopra le nostre teste, noi ci siamo sdraiati per terra, dal carro armato usci una persona che disse di abbandonare le armi e mettersi in fila per cinque, e poi disse io sono di SALERNO e sono in Russia da molto tempo.
Se vi mettete bene in fila vi porteremo al campo di concentramento, e cosi abbiamo formato una colonna lunghissima e abbiamo incominciato a camminare sempre sulla neve, accompagnati dai soldati RUSSI a cavallo, abbiamo camminato tredici giorni e notti senza mai fermarci.
Il sistema era: quando si raggiungeva un paese i soldati tornavano indietro e prendevano posto quelli del paese raggiunto.
Durante questi giorni di marcia forzata per raggiungere la ferrovia sui margini della strada si vedevano dei morti mitragliati e distesi sulla neve in gruppi di venti o trenta soldati che non hanno potuto mettersi in colonna.
Per fortuna quando si attraversavano i paesi c'era sempre qualche donna con un pane molto grosso ed un coltello che tagliava delle fette e distribuiva mentre noi si passava, quando le guardie si accorgevano la sgridavano e la mandavano via.
In quel periodo noi eravamo poveri, infatti sono partito per la Russia senza un centesimo in tasca, mentre si è visto che i russi erano più poveri di noi, quando qualche donna si poteva avvicinare di nascosto chiedeva il sapone, il pettine, o fazzoletti, si è capito che loro non avevano proprio niente.
Finalmente siamo arrivati in un grosso paese e la colonna si è fermata circa dieci minuti, i soldati RUSSI si approfittavano per requisire orologi, anelli, temperini, stilografiche, tutto quello che trovavano, e controllavano chi aveva i capelli biondi, lo facevano parlare e capivano se erano tedeschi li uccidevano all'istante, e sono stato interrogato anch'io perché avevo i capelli castani ma parlavo ITALIANO e c'erano degli amici che mi hanno aiutato a spiegare che non ero TEDESCO.
Durante questo continuo camminare c'erano molti di noi che non ce la facevano più a camminare, si fermavano e si sedevano sulla neve, passava il soldato RUSSO e gli sparava un colpo alla nuca.
Mentre ufficiali e graduati hanno cambiato la divisa con quella di soldato per paura, e qualcuno di loro si è tolto la vita per non sopportare di essere degradato, e fatto prigioniero dai RUSSI, e dal comunismo.
Durante tutto questo camminare non si pensava alla fame per la paura di essere uccisi, finalmente arrivati alla ferrovia dove c'era un treno con vagoni per trasporto bestiame, siamo saliti su questi vagoni e abbiamo viaggiato parecchi giorni stipati a trenta per vagone, non c'era spazio per muoversi, e così molti sono morti congelati, specialmente i meridionali che non erano abituati al freddo.
Arrivati in SIBERIA davanti al campo di concentramento, pochi sono stati in grado di scendere dal treno; i soldati RUSSI hanno dovuto trascinarli fino all'entrata del campo, fra i quali c'erano dei morti.
Il comandante controllava il numero dei vivi che entravano, mentre i morti venivano spogliati e buttati in mezzo al campo.
E' così che iniziava la vita da prigioniero nel campo, dove c'erano dei capannoni con dei castelli di legno pieni di cimici, con un freddo polare e affamati, si viveva mangiando ghiaccio e neve, alla notte si dormiva completamente vestiti e con le scarpe, per il fatto che i primi giorni rubavano di tutto, eravamo diventati come impazziti, tra di noi si rubavano indumenti, scarpe e il berretto militare appena uno si addormentava.
Al mattino presto le guardie RUSSE venivano nelle baracche a svegliarci e farci uscire in mezzo al campo per la conta dei prigionieri, il comandante aveva l'ordine che il numero doveva essere sempre esatto, al mattino quelli che mancavano all'appello erano morti durante la notte, i soldati russi li trascinavano fuori per verificare che tra vivi e morti il numero risultasse esatto.
Intanto i morti venivano spogliati e buttati in mezzo al campo, cosicché giorno dopo giorno si formava una catasta di morti congelati e spogliati.
Questa vita durò parecchio tempo, da mangiare ci davano un mescolino di acqua e farina, era tanto come un bicchiere, i primi a morire erano i più grossi e robusti.
Durante la distribuzione di questo cibo era una tragedia perché veniva fatta con un barile e doveva essere abbastanza per tutti, mentre gli ultimi potevano rimanere senza, e così, presagendo di rimanere senza, davano assalto al barile e tutto si rovesciava, il soldato russo se ne andava dicendo: "Arrangiatevi".
Fra noi c'erano degli uomini molto robusti e soffrivano la fame più degli altri, scavavano sotto la neve, prendevano le radici di erba, le pulivano e le mangiavano ma il giorno dopo erano morti, il comandante subito faceva l'adunata in mezzo al campo, e diceva che mangiare erba si muore.
A questo punto devo dire che avevo quattro amici conosciuti da militare che si chiamavano:
Cairati Francesco di INVERUNO,
Carrera di CANEGRATE,
Asti di MILANO
e Deliso di ROMA, due di questi sono morti nei primi mesi passati al campo (ASTI e DELISO).
A proposito di Cairati durante la distribuzione del cibo si accorse che non era abbastanza per tutti, si buttò con la testa nel barile, la guardia se ne andò, quando uscì dal barile era tutto impastato di cibo, tutti cercavano di togliere per mangiarlo.
Continuando con questa situazione i morti aumentavano spaventosamente, vista la brutta situazione il comandante si decise di lasciare a noi la facoltà per la distribuzione del cibo, tra di noi c'erano degli ufficiali che si celavano per paura, in quel periodo la paura era da tenere sempre presente, perché non si sapeva cosa poteva succedere, visto che i russi avevano lasciato a noi la possibilità di organizzarci all'interno del campo, allora i nostri ufficiali si misero in luce, uno di loro prese il comando, il comandante russo metteva a disposizione la farina, mentre noi si doveva procurare l'acqua, si è dovuto formare una squadra per raccogliere la neve, farla sciogliere e bollire con la farina per essere distribuita, la situazione migliorava per il fatto che i prigionieri morivano e la razione del cibo aumentava.
Passava qualche anno in queste condizioni, così si incominciò a formare le squadre per andare al lavoro fuori dal campo, all'uscita c'era la guardia che contava quanti ne uscivano e al rientro li ricontava, sempre accompagnati dalle guardie con i fucili.
Durante questo periodo che si lavorava ci davano un pezzo di pane scuro di circa due etti, però bisognava raggiungere la norma sul lavoro che era stabilita dai russi, niente norma niente pane.
Una volta al mese veniva una dottoressa che controllava le condizioni dei prigionieri, per distinguere a che categoria di lavoro dovevano essere disposti, il lavoro consisteva nel tagliare la legna nel bosco per i lavori pesanti, e in fabbrica per i lavori leggeri, in questo laboratorio si costruivano zoccoli, cucchiai e scodelle in legno, la norma era per cinque paia di zoccoli al giorno, però al mattino si doveva andare nel bosco a prendere un tronco di legno lungo abbastanza per costruire cinque paia di zoccoli e portarlo in fabbrica sulle spalle, faceva un male insopportabile e la strada era molto lunga, circa un chilometro, si facevano cento metri sulla spalla sinistra poi si passava alla spalla destra, in questi momenti veniva la voglia di buttare via tutto, ma poi al campo c'era la prigione per chi si rifiutava di obbedire, chi andava in quella prigione restava tre giorni senza cibo, per forza si doveva resistere pensando che un giorno la guerra finirà.
Nel pomeriggio in fabbrica si tagliava il tronco in cinque pezzi con attrezzi da falegname, e prima di sera si doveva costruire cinque paia di zoccoli, prima di uscire dalla fabbrica si passava dal tecnico russo che controllava con la dima che ci aveva consegnato al mattino.
Prima di uscire dal campo per il lavoro la guardia russa ci raccomandava che se qualcuno si dovesse perdere nel bosco o se tentasse di fuggire, deve subito cercare di rientrare nel campo altrimenti se passa la notte fuori si considera morto, il freddo in Siberia non perdona.
Durante la prigionia mi sono reso conto che una cosa banale può salvare la vita, il fatto è che per la mia natura di essere molto pallido mi sono salvato forse, per la semplice ragione che tutte le mattine le guardie cercavano uomini per formare una squadra da mandare nel bosco a lavorare, sceglievano i più robusti, io non sono mai stato scelto.
Andare nel bosco a lavorare con quindici gradi sotto zero mal nutriti e mal vestiti era mettere in pericolo la vita per congelamento.
Durante i tre giorni che si camminava per uscire dalla sacca, sul ciglio della strada abbiamo trovato centinaia di automezzi tutti rovesciati, erano carichi di pacchi che i nostri genitori avevano spedito per NATALE, era tutto abbandonato e gli autisti fuggiti, era la vigilia di NATALE DEL 1942.
In questi pacchi ho trovato due scatole di pomata anticongelante, mi è sembrato di aver trovato una fortuna, ho subito spalmato i piedi con questo unto, forse per questo non ho avuto nessun congelamento.
Tornando a raccontare, nel campo n. 58 c'era l'ordine che non si doveva uscire al lavoro quando il termometro segnava oltre i venti gradi sotto zero, una volta al mese, sempre di notte, c'era la disinfestazione per gli indumenti, le guardie entravano nelle baracche, ci facevano spogliare nudi e portavano via tutti gli indumenti, li portavano in una casupola con una stufa a muro, la facevano funzionare in modo da raggiungere una temperatura abbastanza per far morire cimici e pidocchi, durante questo tempo che si doveva restare nudi ci mandavano in un'apposita baracca dove c'erano dei secchi pieni di acqua per potersi lavare, la disinfestazione durava parecchie ore, mentre noi eravamo nudi ad aspettare c'era sempre qualcuno che si sentiva male e cadeva per terra, ci si aiutava tra di noi, quando gli indumenti erano pronti li portavano in mezzo al campo e ognuno doveva scegliere i suoi.
Mentre il tempo passava si andava verso i mesi più caldi, sciogliendosi la neve per terra rimaneva una fanghiglia, si sviluppavano delle grosse zanzare, all'interno delle baracche c'erano cimici e pidocchi, la notte non si poteva dormire, per non essere punti da questi insetti schifosi si cercava di dormire all'aperto, ma le zanzare erano tanto grosse, ci costringevano a coprirci la testa con la giacca, le loro punture provocavano la malaria, molti prigionieri ci hanno lasciato la pelle per questa malattia.
L'acqua dei pozzi si poteva prendere con le mani, era solo a mezzo metro dal terreno. Un giorno il comandante russo decise di consegnare del pesce salato in più della razione di farina, si è pensato che il pesce andava bene come sostanza, ma ci ha creato dei problemi, dopo mangiato il pesce ho bevuto l'acqua del pozzo, il giorno dopo mi sono gonfiati i piedi e le caviglie in modo che ho dovuto tenere le scarpe slacciate per una decina di giorni, per fortuna avevo solo vent'anni, piano piano sono diventati ancora normali.
Al mattino tutti si lavavano con l'acqua del pozzo, c'erano dei secchi di legno pieni, ogni secchio ci si lavava in cinque, successe che tutti i prigionieri si sono ammalati gli occhi, sembrava che tutti avessero una maschera nera; visto che le cose si mettevano male, il comandante decise di andare nel campo dei prigionieri tedeschi che si trovava a venti chilometri, dove c'era un colonnello tedesco medico oculista, lo fece venire nel nostro campo, gli disse che doveva farci guarire tutti al più presto, dopo una breve visita ci disse che avevamo la malattia del tracoma causata per aver lavato la faccia nel secchio con l'acqua del pozzo, poi disse di procurare una certa polvere d'argento, hanno dovuto fare richiesta a MOSCA, passati un pò di giorni arrivò la medicina richiesta, e così tutte le mattine c'era la medicazione, è durata parecchio tempo, alla fine siamo guariti quasi tutti, per questo fatto abbiamo dovuto lavare la faccia con la neve.
Un certo giorno il comandante si decise di fare sotterrare tutti i morti che stavano accatastati in mezzo al campo, i boscaioli hanno scavato delle buche grandi come una casa, e tutte riempite con questi morti congelati, poi si metteva un pò di calcina e coperte le buche, si metteva un cartello con il numero dei morti per ogni buca.
Una volta al mese veniva la dottoressa russa per la visita, uno per volta ci faceva spogliare nudi, sceglieva quelli più deboli e ammalati, e dopo qualche giorno ci mandarono all'ospedale fra i quali c'ero anch'io, avevo preso un'intossicazione che mi ha creato dei foruncoli sulla schiena, anche lì c'erano dei castelli di legno, durante questo ricovero tutte le mattine c'era la medicazione, consisteva nel togliere i foruncolini con la pinzetta e poi mettevano tintura di iodio, questo lavoro era fatto dalle infermiere.
Con queste cure la maggior parte di noi sono guariti, mentre gli altri che avevano delle malattie ai polmoni venivano messi in un reparto speciale, tutti quelli che andavano in questo reparto erano considerati morti, non tornavano più indietro, mentre noi che siamo guariti abbiamo fatto conoscenza con le infermiere, che erano tutte signorine, al mattino venivano le dottoresse per le visite, mentre nel pomeriggio portavano uno strumento che si chiama balalaica, uno tra noi sapeva suonare, e così in mezzo alla sala si ballava con le signorine, mentre una della infermiere stava di guardia alla porta d'entrata, per controllare se arrivasse qualche dottoressa all'improvviso.
In questo periodo di ospedale abbiamo passato delle buone giornate, si pensava che il tempo brutto fosse finito, non è stato così perché un giorno arrivò l'ordine di ritornare al campo n. 58 con un treno speciale, all'interno dei vagoni c'erano delle gabbie di ferro molto basse, erano per trasporto animali come tigri e leoni, invece abbiamo dovuto entrare noi in cinque per ogni gabbia, abbiamo viaggiato due giorni in queste condizioni con la testa abbassata e senza muoverci per mancanza di spazio, ci accompagnava un infermiere che ci raccomandava di portare pazienza, diceva che le guardie avevano paura che qualcuno poteva fuggire dal treno, mentre si viaggiava tra di noi si parlava di queste gabbie per capire a che cosa dovevano servire e siamo arrivati ad una conclusione, che sono state create dal comunismo per trasportare prigionieri politici avversari.
Quando siamo arrivati al campo siamo usciti dalle gabbie avevamo le gambe paralizzate, c'è voluto un lungo tempo per poter camminare di nuovo.
Visto che non ci hanno uccisi quando siamo stati fatti prigionieri, si è incominciato a pensare che stavano adottando un sistema di farci morire senza ucciderci, per mancanza di cibo, in quel periodo il comunismo era molto pericoloso, noi eravamo tutti fascisti per loro, la verità è che in ITALIA siamo ritornati in pochissimi.
Il tempo non passava mai, c'erano delle voci che circolavano tra di noi che la guerra andava verso la fine, intanto si continuava a costruire zoccoli, cucchiai, scodelle e ruote di legno, una volta al mese arrivava la Transiberiana, portava la farina, e portava via tutte le zoccoli e altre cose di legno.
Finalmente un bel giorno arrivò l'ordine di essere rimpatriati, da Mosca arrivò un capitano russo che si chiamava Capuschi, ci diede un documento come lascia passare, che io conservo per ricordo, in quel momento sembrava che il tempo si fosse fermato, i giorni sembravano settimane, questo treno non arrivava mai. Intanto che eravamo in attesa arrivò la commissione russa che prese nomi e indirizzi di alcuni di noi tra i quali c'ero anch'io, si è saputo poi che hanno mandato un messaggio per RADIO MOSCA, il messaggio è stato ricevuto a Roma dalla Croce Rossa, hanno mandato una lettera con il messaggio a casa mia, anche questo documento lo tengo di ricordo, una maestrina del paese di Bienate ha sentito il messaggio alla radio con il mio indirizzo, è andata dai miei genitori a dire che ha sentito il messaggio e che stavo bene.
Finalmente il treno arrivò con tanti vagoni per trasporto bestiame ma senza gabbie, prima di partire c'è stato un raduno generale di tutti i prigionieri ITALIANI, l'ufficiale russo ci disse che con il documento di lascia passare si poteva salire su qualsiasi treno che andava verso l'ITALIA.
Quando il treno partì eravamo liberi, non più controllati dai russi, eravamo tutti contenti, però non c'era più nessuno che ci dava qualcosa da mangiare, la strada per arrivare in Italia era molto lunga, ogni volta che il treno si fermava il capo treno avvertiva che stava fermo qualche ora, così si andava nelle case a chiedere qualcosa da mangiare, una donna mi ha dato delle croste di pane con la muffa; visto che era inutile andare per le case, sono andato nei campi in cerca di patate, si trovavano delle piccolissime patate che i russi hanno lasciato nel terreno durante la raccolta, poi sul treno con una latta si facevano cuocere mentre il treno viaggiava.
Quando sono arrivato in Italia ero ridotto ad uno scheletro, con la giacca che mancava tutto il davanti, e le scarpe rotte che mi uscivano le dita, quando sono sceso dal treno c'erano giornalisti e fotografi, hanno voluto fare delle foto alle scarpe con le dita che uscivano.
Poi mi hanno indicato un posto dove c'erano gli americani che avevano un magazzino per rifornimenti, mi hanno dato un paio di scarpe ed un vestito nuovo, era il 1946.
Nel campo n. 58 ci sono stati migliaia di morti tutti spogliati nudi, gli indumenti e le scarpe li portavano via i russi come bottino di guerra, mentre noi eravamo con i vestiti a brandelli.
Ritornato in ITALIA subito ricoverato in ospedale a MERANO, dopo una breve visita hanno visto che sui fianchi avevo due grandi macchie scure, causate per aver dormito quattro anni sulle tavole di legno, ci sono voluti diversi mesi prima che scomparissero, mentre per il cibo ci sono voluti degli anni per imparare a mangiare, avevo molta fame ma il cibo non andava giù, a causa dell'organismo che era diventato troppo magro.
Scrivendo mi sono accorto che per raccontare un fatto successo bastano poche righe, mentre per chi ha subito sulla propria pelle è una cosa molto diversa, per questo bisogna tenere sempre presente questa regola.
Rientrato in Italia sono stato ricoverato nel Grand Hotel Meranerhof appositamente creato come ospedale per il rientro dei prigionieri, e le infermiere erano tutte ragazze-madri, in attesa che qualcuno di noi avesse perduto la famiglia a causa dei quattro anni senza notizie e passati per dispersi, erano disponibili per formarsi una possibile famiglia.
Infatti diversi meridionali che sono andati a casa e subito ritornati all'ospedale per formare una famiglia con una delle ragazze madre, la causa è che la moglie si era risposata perché il marito è stato dato per disperso, dopo tre anni di assenza di notizie.

Coincidenze
Mentre mi trovavo in un paese russo chiamato Frolovca, eravamo in attesa di ordini, ad un tratto si è visto che i carri armati russi avanzavano e la fanteria si ritirava, in quel momento ho visto un soldato con un fucile che attraversava i campi in ritirata, gli ho chiesto dove andava, mi ha risposto che la fanteria ha ceduto e stava scappando, in quel momento ci siamo conosciuti, era Giovanni Pravettoni, residente a Dairago.
Un giorno mi trovavo in un campo di girasole dove eravamo accampati, mentre stavano distribuendo il rancio, mi sono accorto che un sergente nuovo era stato aggregato al nostro 24° gruppo, e stava contando perché era stato aggregato a noi, in Italia faceva l'autista, e tutte le volte che usciva dalla caserma con la macchina trovava il modo di vendere la benzina, lo hanno beccato e spedito in Russia, rimpiangeva la caserma in Italia dove aveva degli amici tra cui un certo signor Branca che era attendente del colonnello, gli ho detto che era mio fratello.

 Riflessione
Nell'ultimo anno di campo di concentramento le guardie russe hanno saputo che riparavo orologi, parecchie volte sono venuti a prendermi per portarmi nelle case dei russi per riparare orologi che avevano requisito a tutti noi prigionieri, in compenso mi davano un pezzo di pane ed una piantina di tabacco.
Forse sarà stato per questo che quando è venuta una commissione che doveva scegliere qualcuno per mandare dei messaggi in Italia per Radio Mosca hanno dato il mio nome